Roma, 12 marzo 2024 – L’Associazione mondiale per la comunicazione cristiana (WACC) evidenzia che l’escalation della situazione geopolitica nel mondo accompagni alla violenza dei regimi un crescendo di iniziative volte alla chiusura, sorveglianza e censura digitale per nascondere le sue atrocità e mantenere il potere.
Tre anni dopo la presa del potere da parte dell’esercito birmano con un violento colpo di stato, la giunta sta ancora portando avanti brutali attacchi contro coloro che resistono alla sua autorità. Utilizzando anche la repressione digitale.
“I regimi autoritari – spiega Gianluca Fiusco, rappresentante della CELI nel Comitato esecutivo europeo dell’Associazione – da sempre associano alle iniziative repressive concrete, forme di controllo e censura sui mezzi di comunicazione“.
“La novità dei nostri tempi risiede in una vera e propria militarizzazione degli strumenti di comunicazione. Un controllo selettivo e su larga scala. E se è vero che tanti sono gli strumenti che consentono di «bucare» il controllo, le autorità statali nelle situazioni di guerra o di instabilità politica, ricorrono sempre più spesso e volentieri ad altrettante contromisure“.
Myanmar
Nel giugno 2022, le Nazioni Unite (ONU) pubblicarono una dichiarazione sul Myanmar in cui riconobbero ad esempio come “l’accesso online alle informazioni è una questione di vita o di morte per molte persone”, che richiedono l’accesso per prevenire abusi e “attacchi indiscriminati da parte dei militari” o per affrontare la “crisi economica e umanitaria”.
La dichiarazione sottolinea come le chiusure di Internet “ostacolino gli sforzi dei giornalisti, degli osservatori dei diritti umani e delle organizzazioni umanitarie” per monitorare le violazioni, oltre ad impedire il corretto svolgimento dei mandati degli osservatori dei diritti umani delle Nazioni Unite. Lavoro che, appunto, “dipende dalla raccolta di prove contemporanee di violazioni dei diritti umani”.
Un anno e mezzo dopo, Access Now e gli attori della società civile locale e internazionale hanno rilasciato una dichiarazione congiunta (31 gennaio 2024) in cui esortano la comunità internazionale a essere solidale con il popolo del Myanmar e a fornire risorse concrete per resistere all’oppressione digitale.
Si legge tra altro: “Il controllo completo da parte dell’esercito della rete di telecomunicazioni del Myanmar consente di utilizzare le interruzioni di Internet e i blackout delle comunicazioni per facilitare attacchi feroci e impedire agli aiuti umanitari di raggiungere coloro che ne hanno bisogno. Nel 2023, i militari hanno armato le chiusure e i blackout, soprattutto nelle zone di conflitto dove più forte è la resistenza. Ciò significa che le persone che cercano percorsi sicuri per fuggire dal conflitto non sono in grado di comunicare tra loro, i feriti non possono cercare assistenza medica e le famiglie sono isolate dal fondamentale sostegno umanitario”.
Gaza
Sulla scia dell’ordine della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) rivolto a Israele di prevenire il genocidio a Gaza, le ONG continuano a documentare casi in cui i soldati israeliani deridono apertamente i palestinesi o si vantano di azioni che potrebbero costituire crimini di guerra.
All’inizio del mese di febbraio scorso, la Coalizione palestinese per i diritti digitali ha scritto a Meta, X, Telegram e TikTok condannando la proliferazione su queste piattaforme di discorsi di odio, parole e immagini disumanizzanti con incitamenti alla violenza e al genocidio contro il popolo palestinese.
Tra le altre questioni, la lettera richiamava l’attenzione sul riferimento dell’ICJ alla preoccupazione delle Nazioni Unite per “una retorica evidentemente genocida e disumanizzante proveniente da alti funzionari del governo, nonché da alcuni gruppi professionali e personaggi pubblici”. Molte dichiarazioni di questo tipo da parte di alti funzionari israeliani sono state pubblicate sui social media.
La situazione a Gaza è diventata emblematica. Un conflitto nel quale la necessità di comunicazioni e informazioni affidabili rappresenta una forma di aiuto umanitario vitale quanto l’acqua, il cibo e le medicine.
La stampa libera sta facendo un magnifico lavoro nel raccontare al mondo ciò che sta accadendo a Gaza, in Ucraina, in Myanmar e altrove. Eppure le piattaforme di social media non riescono ancora a contrastare la militarizzazione delle comunicazioni che, oltre ad interromperle, le inonda di fake news o di una rappresentazione non reale della situazione.
È solo un problema in situazioni estreme?
“Direi di no, sottolinea Fiusco. La rete è un sistema globale, quindi è abbastanza normale che la costruzione di una propaganda, la limitazione quando non l’impedimento all’accesso alle informazioni, esondino e ci riguardino direttamente. Senza considerare che i Governi possono, se vogliono, intervenire direttamente sulle infrastrutture che consentono la trasmissione delle informazioni: dalle reti elettriche a quelle dati, ad esempio. Il rischio è perciò di guardare con un certo distacco a questo problema. E di farlo sia in relazione alla crisi umanitaria in contesti di guerra o simili; ma anche, e forse soprattutto, nella convinzione che la democrazia sia immune da questa tentazione, rendendoci invulnerabili“.
In realtà – conclude – come cristiani e cristiane, “dovremmo ribadire che il diritto delle persone a comunicare deve potersi realizzare sempre: tanto più dove questa possibilità rimane l’unica via per impedire che il silenzio si trasformi in complicità“.
Approfondimento Articolo dal sito WACC, qui (in inglese).