
Elezioni Germania: un segnale per l’Europa?
Le elezioni in Germania hanno mostrato un’ampia partecipazione, ma le sfide per la democrazia restano. Le Chiese ribadiscono il loro ruolo nel promuovere dialogo e responsabilità sociale.
Libertà è partecipazione
In Italia, Giorgio Gaber cantava che “libertà è partecipazione”. In Germania, le persone lo hanno dimostrato con i fatti.
Oltre l’82,54 % degli elettori ha votato. Questo dato non si spiega solo con la volontà di frenare l’avanzata dell’AfD, sebbene questo fattore abbia avuto un peso.
Tutti i partiti hanno lavorato per sensibilizzare gli elettori sull’importanza del voto. Anche l’AfD ha partecipato attivamente alla mobilitazione, dimostrando che l’ondata di destra non sta rallentando, soprattutto in alcune aree dell’est della Germania.
Il dato sulla partecipazione è il più alto dal 3 ottobre 1990, giorno della riunificazione tedesca, e dal 2 dicembre dello stesso anno, quando il 77,66% degli elettori partecipò alle elezioni per il Bundestag.
La democrazia è viva?
A giudicare dal numero dei votanti la risposta è certamente affermativa.
Le Chiese in Germania si sono impegnate, con forza, perché la sfiducia e la stanchezza non prevalessero.
Nonostante le incertezze economiche e sociali che stanno investendo il Paese, la rassegnazione non ha prevalso. Finora.
E, se è vero che la democrazia tedesca ha evitato le difficoltà che, invece, sono oggi vissute dalle democrazie francese e italiana, questo risultato non può essere dato per definitivo.
Non è la certificazione d’uscita da una crisi profonda che attraversa tutte le democrazie liberali. Né il risultato di una inversione di tendenza.
È una chance
La Germania ha abituato l’Europa a governi di coalizione. Ed anche stavolta l’orizzonte di domani sarà un governo di coalizione. Quale, però, è il grande dilemma. Tutte le forze uscite ridimensionate dalle urne, SPD in testa, non ha certo voglia di esporsi ad un logoramento di governo. Quanto alle altre: quale sarà veramente disposta ad un governo con un partito guida, CDU/CSU, radicalizzato verso destra?
Tutti i partiti hanno escluso alleanze con l’AfD. E, a suo modo, l’AfD ha escluso di sostenere governi di quelle forze che considera l’«Ancien Régime».
Tuttavia un partito che, su base nazionale, rappresenta oltre il 20% dei cittadini può essere davvero escluso dal gioco democratico?
Le democrazie liberali, anche in Italia, ci hanno abituato a questi “cordoni sanitari” che servivano a contenere le forze che si volevano escluse dal potere.
Lo si è fatto per decenni con le forze di sinistra. Con il PCI in Italia e con il PDS in Germania.
Ma oggi non siamo più né negli anni ’70 e neppure nei primi anni 2000.
L’interesse delle forze che vorrebbero portare l’Europa verso democrazie autoritarie è proprio evidenziare l’esclusione che le aspetta unita alla stanchezza della vecchia politica, questa si, ancora ingessata dentro schemi e meccanismi percepiti come distanti dai cittadini.
La questione è complessa. E complicata. Ed il problema, superato il momento elettorale, resta.
La destra estrema proverà a rinserrare i ranghi: mantenere un clima da campagna elettorale permanente. Ha tutto l’interesse a farlo, a logorare il prossimo governo federale per riproporsi alle prossime elezioni (che potrebbero non arrivare affatto alla scadenza naturale della legislatura) come “coloro che avevano ragione“.
D’altra parte i partiti di governo saranno impegnati a governare, a caricarsi delle responsabilità che questo comporta. Svantaggi inclusi.
Il mondo
La Germania dovrà subito sciogliere i nodi delle alleanze in Europa e nel mondo. Potrà esercitare ancora un ruolo guida in una Europa così fragile dinanzi all’avanzata di un nuovo neocolonialismo statunitense?
Friedrich Merz, dell’Unione Cristiano Democratica ha ribadito che una vittoria alle elezioni avrebbe comportato un ruolo europeo in cui gli interessi della Germania siano prioritari sugli interessi comunitari.
Una risposta a chi ritiene l’Europa un fardello più che una opportunità. E non certo una buona notizia per l’Italia.
La politica di privilegiare gli interessi nazionali degli Stati membri non favorisce politiche comunitarie avanzate e di redistribuzione dello sviluppo.
L’egoismo nazionale rischia di fare proprio il gioco voluto oltreoceano con una Unione Europea a molte velocità, molte voci, che passerà così il tempo a dividersi dinanzi a sfide che si fanno sempre più cruciali: dalla pace in Ucraina, al ruolo nel mediterraneo, fino alle sfide tecnologiche legate all’AI.
Il ruolo delle Chiese
I protestanti tedeschi avevano ribadito che la “democrazia non è negoziabile“. E sottolineato la convinzione che “i punti di forza della nostra democrazia, in particolare la negoziazione di compromessi e la tutela delle minoranze, siano efficaci anche in tempi di crisi“.
L’avanzata di una società sempre più polarizzata, avvertivano prima della tornata elettorale, in cui le persone non sono più disponibili o lo sono meno all’ascolto ed al confronto, è un rischio pericoloso.
Un rischio che alimenta “l’estremismo e in particolare il nazionalismo etnico“, fenomeni “incompatibili con il cristianesimo“.
La buona notizia è che le Chiese hanno cominciato a comprendere che la democrazia non è negoziabile. Che è questo lo spazio dove l’ecumene può crescere, impegnarsi, ripensarsi.
La velocità di questi processi di comprensione è tuttavia messa alla prova dal confronto con le società attuali.
È sufficiente la consapevolezza delle sfide che ci riguardano, tanto in Germania quanto in Europa e in Italia in particolare: cambiamento climatico, crisi economiche, impoverimento e rapida trasformazione del lavoro, guerra in Ucraina e a Gaza, migrazioni?
Certo è un punto di partenza importante. Cui fa da eco la situazione specifica che è vissuta dalle Chiese: riduzione dei membri, quindi diminuzione delle risorse, paura di perdere la propria identità, preoccupazione per la sorte delle certezze accumulate negli anni.
La Germania è lontana?
Le chiese cristiane in Germania sono preoccupate per la coesione sociale. Una preoccupazione non nuova e che si lega anche al fatto che l’AfD non è soltanto un fenomeno molto radicato all’Est ma riguarda anche una parte dei credenti.
Immaginare infatti che i protestanti tedeschi, come anche i cattolici, siano rimasti immuni alla destra estrema non è realistico né probabile.
Non va sottovalutata infatti la convergenza, che si è realizzata a fine gennaio, tra l’Unione Cristiano-Democratica e Cristiano-Sociale, Liberali e AfD proprio in materia di politiche migratorie. In senso più restrittivo e severo naturalmente.
Sebbene la Chiesa Evangelica in Germania (EKD) e la Conferenza episcopale cattolica tedesca abbiano messo in guardia contro l’alleanza più stretta tra queste forze, e i partiti di centro si siano subito precipitati ad escludere che quella convergenza si sarebbe tradotta in alleanza di coalizione, il dato che alcuni temi eticamente rilevanti vedano convergere queste forze, è preoccupante.
Tanto più che una parte considerevole dei cittadini e delle cittadine ritiene giusto rendere le politiche in materia di asilo più severe e, in genere, dare una stretta alle politiche di accoglienza dei migranti.
Il Presidente del parlamento bavarese, Klaus Holetschek, cattolico, dinanzi alle preoccupazioni delle Chiese aveva dichiarato: “In una democrazia, le questioni di politica quotidiana appartengono al parlamento, non alle prediche“.
Mentre il Il presidente della CSU e primo ministro bavarese Markus Söder, protestante, rincarava: “Accettiamo le critiche, ma allo stesso tempo dobbiamo anche avere la possibilità di esprimere la nostra opinione, incluso me in quanto devoto cristiano“.
Segno che le tensioni pre-elettorali dovranno pure trovare spazio e terreno di confronto oggi, per evitare di aumentare la distanza tra spazio politico-sociale e Chiese.
Ci sono voluti decenni se non secoli perché le Chiese assumessero una responsabilità di partecipazione globale alla vita sociale prendendo posizione e quindi parte al dibattito pubblico. Questo ruolo, certo talvolta esercitato con una prudenza forse eccessiva, è oggi alla prova di tenuta delle democrazie.
Ne possiamo fare a meno? È utile ristabilire una divisione netta tra sfere di influenza? È immaginabile una Chiesa che torna ad esistere solo dentro gli edifici di culto?
Queste e molte altre domande ci riguardano forse più di ieri perché è oggi, in questo preciso momento che le libertà democratiche sono messe in discussione.
Rimanere vigili
La vescova luterana, presidente del Consiglio dell’EKD, Kirsten Fehrs, proprio nelle scorse settimane è intervenuta nel dibattito pubblico difendendo i progressi delle chiese su questioni chiave come migrazione e democrazia.
Fehrs ha anche avvertito che “la maggior parte delle persone nel nostro Paese avverte una divisione. E molti si stanno ritirando nelle loro bolle“.
Con conseguenze gravi che portano le persone, a partire dai cristiani e dalle cristiane, a dichiarare di non riuscire più a esprimersi liberamente senza mettersi nei guai e quindi di rinunciare a farlo per paura.
Possiamo certamente riconoscerci in queste situazioni e nei rischi che vengono evidenziati dalle Chiese e dal contesto tedesco.
Coltivare una speranza rinnovata
L’opportunità delle elezioni tedesche, quindi, e del dibattito che muove la società tedesca, non dovrebbe essere ignorata anche in Italia.
Le Chiese, proprio quando si avvertono più fragili e vulnerabili, forse allora più assomigliano alla “chiesa delle origini”.
A quel cristianesimo nascente che ha bisogno di una nuova palingenesi, un rinnovamento che non si compie mai definitivamente.
Mentre ci sentiamo sopraffatti e travolti dalla velocità con cui gli eventi capitano, siamo chiamati e chiamate a sperare contro speranza.
Per quanto le nostre forze sembrino poca cosa dinanzi al tumulto, è in questo tumulto che la nostra fede può coltivare una speranza rinnovata. Non una illusione che non tiene conto della realtà, ma una caparbia certezza che la realtà non ha l’ultima parola su ciò che siamo e su ciò che possiamo fare ancora.