Roma, 15 aprile 2024 – CelesTE prega con noi. Potrebbe essere questa la provocazione, mica tanto, che arriva dalla Germania. E CelesTE è il nome dell’intelligenza artificiale generativa dedicata alla “fede”.
Nei giorni scorsi circa 160 operatori nei diversi ambiti della Chiesa regionale del Württemberg si sono dati appuntamento al campus universitario di Heilbronn per informarsi e confrontarsi sul rapporto tra intelligenza artificiale e chiesa.
Un impulso che è anche una consapevolezza: nessuno può più evitare di avere a che fare con l’intelligenza artificiale.
Lo spazio digitale è già affidato a questa tecnologia. Le applicazioni, le chat di assistenza, i sistemi sono supportati dall’intelligenza artificiale e perciò si sviluppano sempre più velocemente e in maniera molto pervasiva.
E la chiesa?
La domanda non è semplice e apre a molti altri interrogativi: come dovrebbe porsi la Chiesa nei confronti dell’intelligenza artificiale? Può utilizzarla, in qualche modo e in maniera responsabile, nelle Comunità? È eticamente sostenibile il ricorso all’intelligenza artificiale nelle pratiche religiose?
Di fatto già adesso alcuni applicativi che usano l’intelligenza artificiale, ChatGPT o HeyGen, possono essere usati, e talvolta lo sono, per generare contenuti biblici e di uso in alcune realtà religiose.
Il problema dell’apprendimento
Esiste il robot che benedice, Bless U2. Oppure e la più recente assistente di preghiera CelesTE (2020. Ed ancora il culto generato e gestito dall’AI durante l’ultimo Kirchentag. Ma può un codice numerico, un robot o un circuito benedire, pregare e persino predicare?
Il problema di fondo non è che l’intelligenza artificiale non creda a nulla, non abbia cioè credenze religiose o non creda in Dio; ma come e da chi apprende la teologia, la spiegazione della fede in dio e l’orientamento religioso. Perché, nonostante “non creda”, l’intelligenza artificiale è usata per “informarsi su Dio” o per chiedere consigli su come “andare verso dio”.
Perciò è il problema dell’apprendimento, le informazioni che permettono all’AI di formare le conoscenze che userà nelle attività cui sarà destinata, che non può essere trascurato.
La Chiesa del Württemberg ha quindi avviato un progetto pilota denominato “AI e Chiesa” per testare, per la prima volta e in modo strutturato, l’utilizzo di un’applicazione di intelligenza artificiale generativa (Microsoft Copilot) per finalità religiose.
Oltre alle licenze, i partecipanti al progetto che rappresentano diversi gruppi e livelli della chiesa regionale ricevono un’offerta di formazione e supporto su misura con l’obiettivo di sviluppare i cosiddetti casi d’uso entro il periodo di un anno e di apprendere come la tecnologia può essere utilizzata efficacemente all’interno della chiesa regionale.
Una cosa è chiara: l’intelligenza artificiale è qui per restare e continuerà a evolversi rapidamente. Ed altrettanto chiaro è che, in questo momento, i più noti programmi di intelligenza artificiale come Chat GPT sono stati teologicamente alimentati principalmente dai circoli evangelici delle chiese libere negli Stati Uniti.
La Chiesa può e deve agire
Se, quindi e da un lato, l’intelligenza artificiale può produrre solo ciò che ha appreso precedentemente, dall’altro questi spazi di apprendimento possono essere presidiati e alimentati dalle Chiese.
Finora, complice un certo scetticismo dinanzi allo sviluppo dell’AI in ambito religioso, ma anche lo straniamento che questa tecnologia ha prodotto irrompendo in dinamiche e consuetudini molto personali e intime, le Chiese storiche hanno faticato a comprenderne la portata.
Eppure, se si guarda allo scopo dichiarato dell’intelligenza artificiale, cioè che “prenda decisioni basate sul valore“, si comprende che se nessuno “glielo insegna” allora quelle decisioni saranno determinate da altro.
Inoltre il ricorso all’intelligenza artificiale sta già generando nuove forme di comunità attorno ad una conoscenza ancora molto ridotta in ambito teologico, spirituale, dove le differenze, talvolta significative tra una Chiesa e l’altra, rischiano di non essere avvertite per la portata e importanza che invece hanno.
Si tratta quindi di uscire fuori dalla logica dell’opportunità o della convenienza. Perché l’uso dell’intelligenza artificiale non può diventare l’alternativa economica alla cura spirituale. È uno strumento che potrà supportare molte attività religiose ma non potrà sostituire la cura pastorale. D’altra parte bisogna sempre avere presente che l’intelligenza artificiale è essenzialmente un codice matematico che prende decisioni basate su probabilità in relazione a ciò che ha appreso. La cura pastorale è quindi ed esattamente qualcosa di così individuale e dipendente da variabili imponderabili che l’AI ne sarebbe sopraffatta.
Il dibattito in corso in Germania, tuttavia, evidenzia l’interesse della Chiesa a comprendere il fenomeno per affrontarlo con preparazione e senza paura. A partire dall’esigenza, espressa da più parti, che gli studi di teologia comincino a prevedere corsi strutturati di aggiornamento sul tema e sulle tecnologie che lo alimentano.
Approfondimenti - Report dell'iniziativa della Chiesa regionale del Württemberg, qui (in tedesco) - Articolo su Sonntagsblatt, qui (in tedesco) - Notizia su EPD, qui (in tedesco)