Roma, 18 ottobre 2023 – Sono trascorsi dieci giorni dalla ripresa del conflitto israelo-palestinese a seguito dell’attacco di Hamas ad Israele. I civili uccisi, i feriti aumentano di ora in ora come conferma l’attacco all’Ospedale di Gaza che ha causato centinaia di vittime inermi.
Sofferenze che si sommano ad altre sofferenze: come quelle dei pazienti ospedalieri, dei medici e del personale sanitario coinvolto nei presidi a Gaza e a Gerusalemme.
L’Augusta Victoria Hospital (AVH), a Gerusalemme Est, è un centro medico di eccellenza che fornisce servizi sanitari e altri programmi sanitari dal 1950. È il più grande progetto della Federazione luterana mondiale – World Service (LWF).
Fondato in collaborazione con l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (UNRWA) per i rifugiati palestinesi, l’AVH è un’importante struttura medica per la cura dei rifugiati palestinesi in seguito al conflitto del 1948.
La guerra sta quindi colpendo, inevitabilmente, anche i pazienti e il personale dell’ospedale Augusta Victoria (AVH).
Negli ultimi anni l’AVH ha fornito assistenza specializzata ai malati di cancro e a coloro che necessitano di emodialisi. Molti pazienti non possono accedere a cure salvavita o sono bloccati in ospedale, a guardare un disastro umanitario che si svolge nella loro patria.
Per Fadi Atrash, amministratore delegato dell’ospedale, la situazione di emergenza non consente di prevedere l’evoluzione del conflitto. L’ospedale ha finora mantenuto la copertura h24 per garantire il funzionamento dei reparti e ridurre la necessità di spostamenti del personale tra l’ospedale e i villaggi della Cisgiordania in cui alcuni vivono.
Viaggiare tra casa e ospedale, infatti, sta diventando sempre più rischioso in questi giorni a causa della crescente violenza dei coloni in Cisgiordania.
Il 40% dei pazienti dell’AVH, infatti, provengono da Gaza. Si tratta di persone malate di cancro che, dall’inizio della guerra, sabato scorso, sono stati sottoposti a chemioterapia (44) e a radioterapia (28). Nessuno di loro è uscito. E sono 60 le chemioterapie programmate e 20 radioterapie questa settimana, ma non arriveranno.
In questo momento all’AVH sono 71 le persone provenienti da Gaza. Pazienti e loro accompagnatori. Non possono tornare a casa perciò sono stati ospitati in un albergo vicino o direttamente in ospedale.
Stesso discorso per i pazienti provenienti dalla Cisgiordania. Grandi rimangono le difficoltà a raggiungere l’ospedale, a causa della chiusura tra le città e i villaggi della Cisgiordania. Oltre alle notizie di violenti scontri tra i coloni e la popolazione locale. Le persone che si spostano tra gli insediamenti rischiano di essere colpite da colpi di arma da fuoco. Giovedì scorso l’Ospedale aveva programmato sessioni di radioterapia per 140 pazienti provenienti dalla Cisgiordania: solo 40 di loro sono riusciti a raggiungere l’ospedale.
Questa informazione ne sottintende un’altra, drammatica: se il trattamento del cancro viene interrotto, influirà negativamente sulla prognosi.
Oltre ai malati di cancro, ci sono poi i pazienti per l’emodialisi. Questi hanno bisogno di una seduta a giorni alterni e, se la perdono, moriranno. Si tratta quindi di un trattamento salvavita. Perciò l’AVH ha deciso di trattenere quasi tutti i bambini della Cisgiordania che ricevono emodialisi in ospedale, così da garantire loro la continuità delle cure e la sicurezza delle loro famiglie.
Alla domanda su come reagiscono i pazienti di Gaza alle notizie del conflitto, Fadi Atrash risponde: “È molto, molto triste e molto difficile per loro. Oltre al loro doloroso viaggio verso la cura del cancro, stanno perdendo familiari e le loro case. Guardano le notizie tutto il giorno, cercando di entrare in contatto con le loro famiglie. Vedono tutta quella distruzione e sono lontani dai loro cari. Stanno soffrendo. I nostri infermieri e i nostri team psicosociali cercano di stare sempre con loro. Non è facile sostenerli in questa situazione”.
L’escalation del conflitto non consente all’AVH di poter inviare equipe mediche di soccorso sul posto. Perciò la situazione di oggi è ritenuta molto diversa dal passato. Al momento Gaza è senza elettricità, né acqua, né accesso umanitario, nemmeno per le trasfusioni di sangue. Gli ospedali sono sopraffatti dai feriti e dalle vittime. Le persone leggermente ferite muoiono perché non ci sono medicine, non ci sono campioni di sangue o non riescono ad arrivare in ospedale in tempo.
Nei giorni scorsi l’AVH e l’East Jerusalem Hospital Network hanno lanciato un appello alla comunità internazionale, avvertendo che la situazione rischia di far collassare gli ospedali di Gaza portando il conflitto verso una catastrofe umanitaria imminente.
Il timore è che la gente a Gaza, già oltremodo provata e impaurita, rimanga inascoltata. Da sola con l’ulteriore aumento delle preoccupazioni per il domani e per quello che accadrà loro.
Tre dei dipendenti dell’AVH provengono da Gaza e non possono tornare a casa. Uno di loro ha perso due cugini dopo la distruzione del loro appartamento e non può tornare dai suoi cari. Altri 7 sono rimasti bloccati a Gaza.
Per l’amministratore delegato dell’AVH “la cosa più importante ora è il cessate il fuoco e l’apertura di un corridoio umanitario per la cura dei feriti e dei malati e per l’ingresso di rifornimenti, carburante, acqua e cibo. Tutti qui sono contrari all’uccisione di civili. Non ci sono dubbi su questo, qualunque sia la tua origine, la tua razza, la tua religione, come essere umano. La risposta umana – conclude Atrash – dovrebbe essere equa da entrambe le parti: garantire la sicurezza dei bambini, delle donne e delle persone innocenti, in Israele e in Palestina, e consentire che gli aiuti umanitari e medici raggiungano coloro che ne hanno bisogno“.
Fonte, Federazione Luterana Mondiale, leggi l'intervista completa qui (in inglese) Per sostenere l'Augusta Victoria Hospital in questo momento di grave crisi umanitaria, clicca qui.