Roma, 3 marzo 2023 – Il Parlamento danese ha deciso di abolire lo “Store Bededag” un’antica festività della Chiesa Evangelica-Luterana della Danimarca. L’obiettivo è quello di poter risparmiare risorse economiche per far fronte alle crescenti spese militari a seguito dell’attuale conflitto in Ucraina.
La proposta del governo danese, guidato dalla socialdemocratica Mette Frederiksen, peraltro già avanzata nei mesi scorsi, ha causato numerose proteste non solo politiche ma, soprattutto, sociali.
La Giornata di preghiera, chiamata anche Grande Giornata di preghiera, cade sempre il quarto venerdì dopo Pasqua. Si tratta di una festa speciale danese, che a differenza della maggior parte di altre festività, non trae origine dalle narrazioni bibliche. Raccoglie una serie di giorni di preghiera per la pace e il benessere.
Introdotta dal vescovo della Zelanda, Hans Bagger, nel 1686, egli chiamò questa giornata, “Giornata straordinaria di preghiera”. Lo scopo era di sostituire, riunendole, una serie di giornate di preghiera che erano state introdotte in tempi precedenti di crisi, guerra e carestia.
Inizialmente dedicata alla penitenza, alla preghiera e al digiuno, store bededag veniva annunciato dal suono della campana alle 18 della sera precedente. Così tutti i commerci e l’ospitalità chiudevano per permettere alle persone di giungere sobrie e puntuali alla funzione religiosa del giorno dopo. Nel Giorno della Preghiera, le campane delle chiese venivano suonate per tre funzioni e la Quaresima terminava solo dopo l’ultima funzione. A quel punto la gente poteva riprendere il lavoro.
Il vescovo luterano, Peter Birch ha criticato la mossa del governo, definendola “storica e transfrontaliera”.
Normalmente – fanno notare dalla Chiesa danese – i grandi cambiamenti nei rituali e nei testi della Chiesa sono frutto di coinvolgimento dei diversi attori della Chiesa e nel rispetto della democrazia popolare. Per questo la Danimarca ha un ministero per gli affari ecclesiastici. Ma questa volta non è successo. O, meglio, è avvenuto solo in parte.
Nel caso dell’abolizione della giornata di preghiera, infatti, il governo si è ritrovato, oltre alla contrarietà dell’opposizione, a dover prendere atto della contrarietà della Chiesa danese, che è una chiesa popolare.
Non solo. Durante il processo politico di confronto verso l’abolizione dello Store Bededag, il coinvolgimento della Chiesa ha subito una marginalizzazione e, di fatto, zittito.
È anomalo che il Governo, rilevano dalla Chiesa danese, ritenga di dover metter le mani su una festa religiosa senza coinvolgere la stessa Chiesa che ha originato la festa.
Peter Birch, vescovo della Diocesi di Helsingør, ha così sottolineato il deficit democratico messo in atto dal governo. In questo processo, ha spiegato Birch, il ministro avrebbe dovuto chiedere un parere tecnico alla Chiesa. Tuttavia questo parere, in contrasto con le valutazioni del governo stesso, ha portato a far prevalere queste ultime su tutto il resto.
“Questo è importante, perché è proprio con questa mossa che il governo – consapevolmente o meno – si pone come arcivescovo, cosa che, come sappiamo, non ha precedenti in Danimarca”, ha chiarito Birch.
La questione, tuttavia, è molto complessa e delicata. L’abolizione dello Store Bededag non è funzionale, come in passato, ad una diversa riorganizzazione del calendario. Infatti lo scopo della legge approvata dal Folketing (il Parlamento Danese) è quello di finanziare l’aumento delle spese militari di difesa risparmiando un giorno di festa.
Il 5 maggio di quest’anno sarà quindi l’ultima volta per la Grande giornata di preghiera. Copenaghen, quindi e a differenza di Parigi, non val bene una… preghiera.
Con questa azione, ha chiarito Birch, “il rapporto tra lo Stato e la Chiesa sta cambiando, e noi abbiamo una grande preoccupazione di principio al riguardo”.
L’aspetto è controverso per due ragioni: la prima riguarda la destabilizzazione dei rapporti tra Stato e Chiesa. La seconda è nel merito dell’argomento: semplificando meno festa più armi. Si tratta in realtà di un netto cambio di paradigma che porta a sostituire il dialogo che c’è sempre stato tra Chiesa e Governo, ed un tempo normalmente dedicato alla famiglia, al raccoglimento, alla preghiera, con un tempo utile per le armi.
Un cambio che non può non preoccupare anche al di fuori dei confini danesi. Le necessità belliche, in generale, prevalgono oggi sulle necessità del dialogo, della pace, di quel sentire diffuso, ad esempio in Italia, che ripudia la guerra come strumento utile per la risoluzione delle controversie tra i popoli e si trincera dietro categorie polarizzanti in cui le ragioni della pace faticano sempre più ad emergenze. Categorie che, banalizzando la realtà, rischiano di ridurre il confronto in scontro tra tifoserie.
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