Roma, 17 novembre 2022 – Aleksander Erniša, pastore e teologo luterano, ha salutato la Comunità di Trieste dopo oltre 4 anni dall’arrivo, il primo marzo 2018.
Nato a Murska Sobota, nel Nordest della Slovenia, aveva 38 anni al suo arrivo in Italia. Avrebbe voluto studiare medicina, in gioventù; alla fine, però, ha studiato teologia ed è diventato Pastore. La cura delle anime non è cosa da poco o meno impegnativa della medicina.
Durante questo tempo in Italia, il suo ministero è stato caratterizzato da un grande impegno umano e spirituale: come peraltro testimoniato dal gran numero di partecipanti e di messaggi ecumenici che si sono manifestati in occasione del culto di congedo del 30 ottobre scorso.
Una presenza pastorale molto apprezzata in città che la Comunità sui propri social ha inteso salutare con le parole di Dietrich Bonhoeffer: “Più bello e pieno è il ricordo, più dura è la separazione. Ma la gratitudine trasforma il ricordo in una gioia tranquilla. Si porta con sé la bellezza del passato non come una spina, ma come un dono prezioso”.
Un ministero che ha attraversato anni difficili: dalla Pandemia alla Guerra in Ucraina. E che si è distinto per spirito di servizio ed empatia umana.
In questi mesi, il pastore Erniša, di origine slovena, non si è risparmiato fino a portare aiuto dall’Italia ai rifugiati ucraini in Slovenia.
Come Chiesa vogliamo ringraziare Aleksander per il suo lavoro quotidiano: per quanto è stato visibile e per il molto che spesso non si vede ma che completa il quadro.
Negli ultimi mesi Aleksander ha guidato per oltre mille chilometri fino al confine sloveno con l’Ucraina per poter portare conforto e sollievo anche materiali alle persone in fuga.
Perché un pastore luterano si mette in auto, carica pacchi di aiuti per i rifugiati ucraini e poi guida per duemila chilometri, andata e ritorno, da Trieste?
Prendersi cura di colui che è in difficoltà è uno dei compiti fondamentali della teologia cristiana. Ogni cristiano dovrebbe prendere molto sul serio questo compito che io personalmente considero come essenziale. A dire la verità, non ho mai saputo dire di no a coloro che si trovavano o si trovano in difficoltà. Infatti, comincio subito a cercare soluzioni e modi per offrire aiuto. Aiutare il prossimo, quindi, per me non è stato mai difficile. Anche percorrere più di 2000 km in 24 ore. A volte non ci penso nemmeno alle difficoltà che dovrò affrontare, lo faccio e basta. È così che intendo l’amore nel senso di agape. Come un amore che non si aspetta nulla in cambio, ma che dà. Per me si tratta di un amore composto di atti altruistici. Questo è il tipo di amore a cui dovremmo tendere come individui e come società.
Da ex cappellano militare cosa ti impressiona di questa guerra?
È vero che ho prestato assistenza spirituale come cappellano militare dal 2005 fino al mio arrivo a Trieste nel 2018, ma a prescindere da questo, sono convinto che nessun uomo voglia la guerra. Per me, risolvere conflitti, problemi o disaccordi attraverso la guerra o la violenza di qualsiasi tipo non è accettabile. Dobbiamo sforzarci di risolvere ogni conflitto in modo pacifico.
Da Trieste, città di frontiera, fino alla frontiera con l’Ucraina: pensavamo che le frontiere fossero un ricordo, almeno in Europa. Sono oggi tornate ad essere un luogo dove si scrive di nuovo la storia?
La parola “confine” ha purtroppo acquisito una connotazione negativa nel corso della storia. Ma un confine è qualcosa che ci aiuta anche a creare la nostra cultura, la nostra identità, i nostri valori, ecc. Tuttavia, quando si è verificata la pandemia di COVID-19, si è cercato di proteggere i confini nazionali per poter anche in questo modo risolvere la situazione. Ma le frontiere di cui parliamo qui, in Europa non ne abbiamo più bisogno. Penso che nessuno di noi voglia più i confini così come erano nel passato. I confini di una volta ci allontanavano dal nostro prossimo, spesso dal nostro vicino. Di questo non abbiamo più bisogno. Ma dobbiamo sforzarci – tutti insieme, così come ogni individuo – di accettarci nonostante le nostre differenze. Ma un certo confine è certamente bene tenerlo. Qui penso soprattutto al confine che definisce i diritti fondamentali dell’essere umano. Non dobbiamo mai oltrepassare questa linea.
In quali condizioni hai trovato i rifugiati ucraini?
Quando sono arrivato al confine, tutto era molto ben organizzato. Tutti sapevano cosa dovevano fare. In quel momento non c’erano molti rifugiati. Ma quelli che c’erano, erano più o meno persi nei loro pensieri. In una delle tende c’era una madre con un bambino piccolo. Il bambino era molto contento di tutti i giocattoli che aveva a disposizione. Ma la madre … Beh, non c’è bisogno di spiegare troppo. Non conosco la loro storia, ma la sola idea di ciò che quella signora aveva passato e stava passando mi ha commosso. C’era anche un ragazzo seduto in un angolo. Era solo. Stava guardando il telefono e ho avuto la sensazione che stesse aspettando una chiamata. Quando un collega sacerdote mi ha raccontato quello che è successo, sono rimasto anch’io senza parole. Devo dire che dopo questa storia ho avuto la sensazione di non dovermi mai più lamentare, né avere la sensazione che mi manchi qualcosa. Il ragazzo e la sua famiglia erano stati interrotti da una potente esplosione durante la loro conversazione telefonica e da quel momento non è più riuscito a contattare la sua famiglia. Quindi, quando prima parlavamo dei chilometri percorsi, questo non è nulla in confronto alle storie dei rifugiati ucraini.
Dopo oltre 8 mesi di guerra, si parla del possibile uso di armi nucleari nel conflitto con l’Ucraina: è l’antico insaziabile peccato del potere o c’è altro in questo conflitto tra Ucraina e Russia?
Sarò molto breve. Spero, auspico e prego che abbiamo imparato qualcosa dalla storia.
Dopo quattro anni ritorni in Slovenia: quali sono a tuo parere le forze e le criticità dell’esperienza vissuta come pastore in Italia?
Il vantaggio della mia esperienza pastorale sono sicuramente i fedeli. Il fatto che due nazionalità, quella italiana e quella tedesca, siano principalmente intrecciate nella chiesa è un bene inestimabile che dà alla chiesa la possibilità di guardare tutto da una prospettiva più ampia, si potrebbe dire da una prospettiva europea. Aggiungo che a Trieste, dove la popolazione è ancora più variopinta, questa diversità è ancora maggiore. Questo genera pazienza, accettazione della diversità e desiderio di coesistenza. La cura pastorale è un concetto molto ampio che, da un lato, si occupa della parte spirituale della vita di una persona e, dall’altro, dei suoi bisogni materiali quotidiani. E qui la Chiesa deve muoversi al passo con i tempi. Deve tenere gli occhi e il cuore aperti. Non deve rimanere nel passato, ma deve stare tra la gente, ascoltandola e cercando insieme a loro le risposte alle domande che si presentano. Tutto questo è la cura pastorale. La Chiesa non è solo un edificio dove si prega e dove si ascolta la Parola di Dio. La Chiesa è un popolo con tutti i suoi momenti belli e meno belli. Solo così la Chiesa può rimanere viva e vicina a Dio con la sua missione di fede.
Che consiglio daresti alla CELI e a chi verrà a Trieste dopo di te?
La CELI ha una base invidiabile, solida e su cui si può fare affidamento in qualsiasi momento. Dal punto di vista organizzativo, funziona come dovrebbe funzionare la chiesa luterana, ossia in modo presbiterale-sinodale, il che significa che su tutte le questioni importanti è l’intera comunità a decidere. Dal punto di vista teologico, segue le esigenze dei fedeli e non si chiude alle sfide dei tempi moderni. Al contrario, è attiva e cerca risposte anche alle domande teologiche e socio-politiche più pressanti. È molto attiva nel campo dell’ecumenismo., sensibile nel campo della diaconia e, negli ultimi anni, anche dell’ecologia. È aperta a tutti e a chiunque. Ha un atteggiamento rispettoso nei confronti del suo passato e non ha paura del futuro. Predicare il Vangelo e riflettere su di esso è la sua prima priorità. E ci sono molte altre cose che qui non elencherò. Possiamo dire che è la Chiesa vivente di Cristo. Questa mi sembra la cosa più importante.
Quindi, colui che viene alla CELI con entusiasmo riverente e pieno d’amore è sulla strada giusta. Che i fedeli e gli amici della CELI seguano il cammino che stanno già percorrendo!
Personalmente, sono molto grato a Dio per avermi permesso di far parte di questa chiesa e considero onore e un motivo di orgoglio aver potuto pregare con i suoi fedeli e impegnarmi per gli insegnamenti di Cristo.