Roma, 26 aprile 2024 – L’apertura del Sinodo della Chiesa Evangelica Luterana in Italia si è strettamente incrociata con due temi cruciali: il 25 aprile ed il futuro del cristianesimo.
Liberazione del passato
I lavori sinodali, nel giorno dell’anniversario e ricordo della liberazione dal nazifascismo, hanno confermato l’importanza fondamentale di quel passaggio storico che “per molti italiani e molte italiane, ha significato anche una liberazione religiosa nel cammino non semplice verso una pluralità sempre più ampia e accessibile“.
Unitamente al messaggio, quello che giunge a noi oggi dalla liberazione, che i luterani accolgono proprio nella prospettiva indicata dal testo che caratterizza il Sinodo di quest’anno: “Eccomi, manda me!” (Isaia 6, 8)
Ovvero l’impegno non solo a ricordare ma a rispondere positivamente al ruolo che, come Chiesa, possiamo avere nell’edificazione di una società più giusta, aperta, inclusiva, rigenerata nella speranza.
Nella consapevolezza delle difficoltà che oggi le religioni vivono e, in particolare, il cristianesimo, in un mondo che muta: stretto nella morsa delle guerre, davanti ad una prospettiva che desta più di qualche preoccupazione, come luterani siamo chiamati a superare la paura con slancio e fiducia.
Perciò il passato non è il peso dal quale liberarci, ma il ricordo del quale abbiamo bisogno, proprio per affrontare il presente ed il futuro.
Uno “schiaffo” di futuro
Così nelle relazioni delle scorse ore il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della fede, Cardinale Victor Manuel Fernandez, ed il Presidente dell’Accademia di Berlino-Brandeburgo, Prof. Christoph Markschies, il “futuro del cristianesimo” si è liberato dalle tinte fosche di cui spesso è ammantato.
In primo luogo è stato evidenziato che il problema del futuro del cristianesimo è affrontare una prospettiva plurale, quella dei “cristianesimi”. A partire dalla domanda, come sottolineato da Fernandez, sulla direzione in cui va il mondo.
Una direzione, ha precisato il prelato cattolico, nella quale “abbiamo bisogno innanzitutto di comprendere la complessità del mondo nel quale viviamo“. Ed una complessità che comprende l’intero creato di Dio, non solo la prospettiva, spesso individualistica, dei singoli.
Un tempo ed un mondo che può disorientare, ammette Fernandez, e che, con “l’avvento dei social media ha alimentato il consumismo del mondo”.
La necessità di una svolta
Un consumo della società che libera anche dai limiti che dovrebbero far ragionare le persone tanto che “oggi i politici possono dire delle cose terribili, violente, razziste: cose che venti anni fa non si potevano dire e che nessuno avrebbe osato dire“.
Ciononostante – ha sottolineato Fernandez – sono comparsi nella storia dei momenti di svolta, inaspettati. Facendo con ciò riferimento prima a sant’Agostino ed al “terremoto di Martin Lutero come uno schiaffo ad una società mondanizzata. Uno schiaffo che ha fatto bene anche alla Chiesa cattolica“.
Perciò, vivere nel momento presente non risolve il punto che il benessere umano rischia di risultare effimero e insoddisfacente se non si osa riconoscere gli altri, le altre. Tuttavia – conclude – la “bibbia ci ricorda che vale la pena essere delle persone perbene perché il bene opera in silenzio; anche se può sembrare che gli immensi poteri di questo mondo possa lasciare il Vangelo senza nessuna possibilità di illuminare i cuori, siamo certi che non è così“.
La debolezza è la forza del cristianesimo
Per Christoph Markschies il futuro del cristianesimo è già nella storia della salvezza di Dio. Una storia che si proietta avanti, che procede e che proviene: dal passato verso il futuro, sfidando il presente.
“In Germania – continua Markschies – la maggior parte delle conferenze sul futuro del cristianesimo cominciano indicando i numeri drammatici dell’andamento delle iscrizioni dei membri di Chiesa, da cui si derivano supposizioni sulle cause e previsioni per il futuro della Chiesa o addirittura del cristianesimo nel Paese. Di solito tutto ciò ha un tono molto pessimistico e un po’ apocalittico” […] perciò se queste previsioni sul futuro del cristianesimo ecclesiale in Germania fossero esatte “ciò comporterebbe la fine della forma della Chiesa nazionale come l’abbiamo sempre sperimentata e apprezzata”.
In realtà, chiosa, il cristianesimo è la religione delle sconfitte vincenti. Nata come religione marginale, su cui nessuno avrebbe scommesso, senza potere, né templi, né torme di seguaci, il cristianesimo non è sparito perché “si vede sempre meglio che non è il significato della religione a sparire quanto a cambiare sono posizione e forma della religione“.
In un crescendo interessante Markschies ha posto il confronto tra il cristianesimo attuale e quello iniziale evidenziando che il “”cristianesimo del I secolo era, per le persone in qualche modo istruite, un’offerta religiosa pressoché priva di prospettive, perciò come ha fatto a sopravvivere all’antichità?”
La sfida impossibile, la sfida disponibile
Da questa domanda Markschies prova a rispondere e dipanare il dilemma sul futuro del cristianesimo distinguendo tra tre motivi: il primo riguarda il “senso di umanità verso gli stranieri, il provvedere la sepoltura dei morti e la purezza dello stile di vita, caratteristiche che non avevano uguali nelle religioni antiche“; il secondo motivo riguarda l’impegno delle persone che “esperirono il cristianesimo come religione potente ed energica, al servizio del prossimo“; il terzo motivo riguarda le “peculiarità del messaggio specifico del cristianesimo capace di farsi comprendere dagli umili ma anche capace di stimolare discussioni filosofiche alte e importanti“.
Nelle sue conclusioni, Markschies ha incoraggiato i cristiani, quindi la CELI, a guardare al futuro della chiesa non come una sfida impossibile ma come una sfida disponibile.
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