Roma, 22 ottobre 2024 – L’allarme arriva dalla Germania: le campagne pubblicitarie che sfruttano simboli religiosi come ali d’angelo o citazioni del Padre Nostro sono in aumento. Si tratti della promozione di nuovi prodotti, o per dare credibilità a servizi finanziari, l’obiettivo è attirare l’attenzione del pubblico. Di quello stesso pubblico che, magari, ha deciso di non frequentare più le chiese.
Un articolo dell’EPD del 21 ottobre rende attenti i lettori sul fatto che spesso basta l’immagine di ali bianche per promuovere qualsiasi cosa: da una crema spalmabile a un pacchetto di sigarette.
Aure luminose, nuvole che si squarciano, voci dall’alto consigliano gli spettatori indirizzandone i consumi. Questo modello pubblicitario non è nuovo. In Italia, ad esempio, già negli anni ’90 del secolo scorso compariva nelle TV la pubblicità di un noto marchio di caffè ambientata in paradiso. Con un simpatico “San Pietro” che assaporava la bevanda scura.
La pubblicità ha come obiettivo catturare l’attenzione, come spiega Jörg Herrmann, docente presso l’Istituto di teologia pratica di Amburgo e direttore dell’Accademia evangelica della Chiesa del Nord. “E ciò funziona meglio attraverso l’alienazione, i contrasti, l’irritazione e persino rompendo i tabù.”
Nella primavera scorsa una società finanziaria di Monaco, ha lanciato uno slogan alquanto provocatorio che in italiano suona pressappoco così: “Lascia che la tua villa si realizzi anche senza un padre in cielo”. Il richiamo è al Padre Nostro.
L’uso della citazione biblica è stato aspramente criticato dalle Chiese e definito una provocazione che distorce il messaggio per adattarlo al consumismo moderno.
Riferimenti religiosi come strumenti pubblicitari
I simboli religiosi, anche in società profondamente secolarizzate, sono diventati parte del patrimonio culturale delle persone, e perciò richiamano, nell’immaginario collettivo, messaggi ben precisi.
L’uso di questi richiami ha lo scopo di creare una dimensione di familiarità con il pubblico. “Questi riferimenti – sottolinea Herrmann – evocano un collegamento con simboli condivisi, particolarmente efficace per temi legati alla sicurezza e alla protezione, valori centrali anche nella religione“.
Le aziende finanziarie e le assicurazioni, infatti, ricorrono spesso a immagini religiose per trasmettere sensazioni di sicurezza esistenziale. Ma anche la politica.
Tuttavia, se da un lato questi simboli possono catturare l’attenzione, dall’altro rischiano di essere snaturati e interpretati secondo una “esegesi” dell’utilità.
Messaggi e testi che, nel contesto biblico, annunciano la tolleranza, la condivisione, l’ascolto, vengono citati in maniera distorta e indifferentemente per vendere un prodotto o per rafforzare un concetto politico di discriminazione se non di aperto razzismo.
I mezzi di comunicazione non sono neutri
Herbert Marshall McLuhan spiegava come “il medium è il messaggio”. Ovvero il messaggio non è soltanto l’insieme delle parole, il contenuto esposto dai media. Esso comprende anche il modo ed il mezzo attraverso il quale viene esposto. L’insieme influenza la società e il modo in cui le persone percepiscono la realtà.
Non si tratta, ci mancherebbe, di evocare il ritorno al “visto censura”. Ma di fornire alle persone gli strumenti per ristabilire una chiarezza dei riferimenti che eviti ogni fraintendimento.
Le Chiese evangeliche, in Italia, si muovono ancora in ordine sparso sul tema. La questione della comunicazione moderna, degli strumenti e tecnologie che la animano, l’avvento dell’intelligenza artificiale, rimangono temi poco esplorati oltre che condivisi.
La questione della membership è forse avvertita come prioritaria, tuttavia oggi appare evidente non solo quanto importante sia la partecipazione fisica alla vita comunitaria, ma come questa sempre più spesso sia mediata da altri strumenti e forme legate allo sviluppo delle moderne forme di comunicazione e interazione.
La pubblicità sostituirà la religione?
Naturalmente la levità della pubblicità non può sostituire l’approfondimento della religione: su se stessi, il bene, il male, la speranza, etc…
Ma forse questa domanda è essa stessa un segno dei tempi, della fluidità dei messaggi che, attraverso i mezzi della comunicazione social, diventano interscambiabili.
Non possiamo negare l’impatto che la rivoluzione digitale ha avuto e sta continuando ad avere nella società e nelle Chiese stesse.
Un fenomeno che produce reazioni contrastanti e opposte: di rifiuto e chiusura o di totale apertura e accettazione.
Come ogni fenomeno che produce effetti sociali rilevanti, tuttavia, andrebbe esplorato e compreso nella sua effettiva dimensione: con quel che di buono può offrire e con ciò che di problematico, invece, meriterebbe d’esser discusso.
Mentre in Germania e, in genere, nei Paesi d’oltralpe il fenomeno è già da tempo oggetto di studio, in Italia fatica ad entrare tra le domande meritevoli di riflessione e approfondimento.
Alle Chiese il compito di cogliere questa opportunità per analizzare il loro impegno e la loro missione in un contesto culturale, oltre che sociale, sempre più influenzato dai nuovi media e dai messaggi antichi che vengono riproposti in formule nuove.
Per approfondire La religione nella pubblicità: fino a che punto si può arrivare?, qui (in tedesco) Messaggi sacri: perché i riferimenti religiosi nella pubblicità sono irresistibili (Sonntagsblatt), qui (in tedesco) La rottura calcolata dei tabù, qui (in tedesco)