Sibiu, 27 agosto 2024 – Conferenza stampa
Si è appena conclusa la Conferenza stampa in vista dell’apertura della 9 Assemblea della Comunione delle Chiese Protestanti in Europa (CPCE/GEKE).
Durante la Conferenza è stato confermato che i candidati ungheresi al Consiglio rimangono in corsa, nonostante il ritiro della delegazione ungherese dall’Assemblea.
È stata sottolineata l’importanza del tema dell’Assemblea, la luce di Cristo, tratto dall’epistola agli Efesini come cruciale e programmatico per il futuro delle Chiese protestanti in Europa.
Il Segretario della Comunione, Dr. Mario Fischer, ha ribadito la scelta di Sibiu e della Romania quale sede dell’Assemblea: esempio di integrazione multiculturale e di diverse sensibilità che bene identificano la missione della CPCE/GEKE nella prospettiva futura.
La Comunione, è stato sottolineato, rimane il luogo teologico e plurale, dove i protestanti di Europa possono accogliere le sfide che si propongono loro: ecumeniche, organizzative, tecnologiche, teologiche, etc…
L’Organizzazione della Assemblea introduce già la pluralità di quel che la CPCE/GEKE: 175 delegati, 20 membri dello Staff, 24 le Chiese direttamente coinvolte nell’organizzazione o nella ricerca dei volontari.
Nuove chiese membro sono state accolte nella Comunione: la Chiesa evangelica della Georgia e il Caucaso meridionale, la Chiesa luterana d’Islanda e la Chiesa luterana dell’Ucraina.
Mercoledì 28 agosto 2024 – Sessione plenaria mattutina
Si è aperta alle 9,15 la sessione plenaria della 9 Assemblea della CPCE/GEKE a Sibiu in Romania con gli annunci dello staff organizzativo e l’illustrazione del programma per questa giornata (trovate la sintesi qui). Si ricorda che potremo dar conto e aggiornare solo le attività delle sedute plenarie e non quelle dei gruppi ristretti cui è affidato il lavoro di istruttoria, preparatorio delle risoluzioni che saranno poi votate dall’Assemblea.
Quindi la relazione di John Bradbury della Presidenza della Comunione. Nell’introduzione John Bradbury ha ricordato il contesto storico e sociale nel quale ci troviamo: la guerra in Ucraina con l’aggressione da parte della Federazione Russa, i recenti assetti dell’Unione Europea dopo le elezioni del giugno scorso, l’avanzata dei populismi nel mondo e gli effetti della Brexit nel Regno Unito.
Bradbury ha sottolineato quanto “come Comunione di Chiese fondata sul superamento delle divisioni dottrinali del 16th secolo, ci accorgiamo che non è più la dottrina a minacciare la nostra cara unità, ma le questioni etiche e le visioni del mondo apparentemente in competizione tra loro, e il modo in cui queste sono spesso legate ai contesti politici in cui le nostre Chiese membro si trovano a far parte“.
Ed ha proseguito “dall’ultima volta che ci siamo incontrati, almeno una delle nostre tradizioni ecclesiali ha vissuto uno scisma su questioni di sessualità umana. La decisione dell’ultima Assemblea Generale di considerare questo tema come una questione da approfondire in questa Assemblea Generale ha portato altri a ritenere di non potersi unire a noi in questa Assemblea, cosa che ci rattrista molto. Biasimiamo la decisione delle chiese membri della Chiesa riformata ungherese di ritirarsi da questa Assemblea, ma ringraziamo per il modo in cui i rappresentanti di questa tradizione sono stati coinvolti nel nostro lavoro dall’ultima Assemblea generale e ringraziamo per essere rimasti in comunione con loro“.
“C’è una tensione – dice Bradbury – che attraversa tutta la fede cristiana tra l’universale e il particolare. La nostra fede cristiana fa affermazioni universali sulla creazione e sulla salvezza. Quando San Paolo scrive ai Galati è chiaro che le identità umane sono secondarie e relativizzate dalla nostra identità primaria di battezzati nel Corpo di Cristo. «Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più maschio né femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». (Galati 3, 28). Il genere, l’identità culturale, l’identità religiosa, l’identità nazionale: tutto questo è secondario. Eppure, allo stesso tempo, la nostra fede è anche innanzitutto una fede incarnata. […] Al suo meglio, la Concordia di Leuenberg ha portato a una comunità che tiene davvero insieme l’universale e il particolare. Verso la piena comunione, pur tenendo conto delle nostre particolarità storiche, linguistiche e culturali. Ci permette di essere Chiesa insieme per il continente europeo e di coinvolgere nel Vangelo comune popoli con storie, culture e lingue specifiche. Naturalmente non è facile. A volte ci riusciamo molto bene. Altre volte è difficile e facciamo fatica. Le differenze etniche e culturali sono profonde. Il Vangelo cristiano ci impone di vedere le nostre sorelle e i nostri fratelli in Cristo prima di tutto come parte di un unico corpo, e solo secondariamente come persone con particolari identità etniche o nazionali. Come dice la lettera agli efesini Efesini, il testo che ci guida in questa Assemblea Generale, a proposito delle differenze diffuse all’epoca in cui Paolo scriveva: «… non siete più stranieri e forestieri, ma siete cittadini con i santi e anche membri della famiglia di Dio, edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, con Cristo Gesù stesso come pietra angolare. In lui tutta la struttura è unita e cresce in un tempio santo nel Signore; in lui anche voi siete edificati spiritualmente in una dimora per Dio». Quando, come ci invita Efesini, adoriamo il Dio di tutto il cosmo, che dà a Cristo il potere al di sopra di ogni potere e dominio terreno, e rispondiamo fedelmente alla chiamata a ordinare bene i nostri nuclei familiari e le nostre famiglie, ci troviamo proprio chiamati a tenere insieme l’universale e il locale. Non sarà mai un compito facile. Ma è proprio il compito del CPCE, ora e in futuro“.
Ha preso quindi la parola Marcin Brzoska, della Presidenza su come Affrontare nuove sfide – un tempo di benedizione. Brzoska ha esordito ricordando brevemente cosa è successo alla vita delle Chiese durante la pandemia del 2020: “per la vita della chiesa è stato necessario adottare nuovi strumenti, come le videoconferenze. Preservare la comunione è diventata una grande sfida per le Chiese. Come celebrare le funzioni? Come distribuire i posti in chiesa in una situazione di scarsa affluenza? Come mantenere la comunione tra di loro? Quest’ultima domanda è divenuta vibrante in relazione alla celebrazione della Cena del Signore. Tutte questioni che hanno costretto le chiese non solo a discutere di aspetti pratici da risolvere, ma anche a tenere profonde discussioni bibliche, storiche, dottrinali e teologiche sulla sostanza e sul nucleo della Cena del Signore, e anche sui sacramenti in quanto tali. In alcuni Paesi la chiusura e la limitazione dell’accessibilità degli edifici ecclesiastici ha persino avviato una discussione sulla libertà religiosa garantita dalle costituzioni statali e da altre disposizioni legali di alto livello“.
Ricordando le celebrazioni per i 50 anni della Concordia, Brzoska ha sottolineato quanto, “per molti osservatori esterni, il protestantesimo sia sembrato e sembra essere un unico fenomeno religioso, teologico, spirituale ed etico. Il problema – ha proseguito – è che questo era (e probabilmente in molte parti del mondo è ancora) diverso nella visione degli stessi protestanti. Dai famosi colloqui di Zwingli e Lutero a Marburgo nel 1529, l’abisso tra Wittenberg e Zurigo sembrava impossibile da colmare. Quello che la Chiesa ha vissuto più di 50 anni fa è un fenomeno reale e l’opera del Dio vivente nella sua Chiesa – un vero miracolo, con la Concordia di Leuenberg che ha creato una comunione tra i protestanti in un’Europa divisa dalla cortina di ferro, in un continente che curava le ferite di due guerre mondiali, dell’olocausto, dello spostamento e dello smarrimento delle nazioni. Da questo punto di vista, la Federazione delle Chiese di Leuenberg, la Comunità e infine la Comunione delle Chiese protestanti in Europa sono parte di una tremenda trasformazione del mondo, un dono della grazia di Dio“.
Ha concluso la lettura della relazione della Presidenza, Miriam Rose sulla strategia dell’essere chiesa insieme alla luce della speranza. E, nel suo intervento, ha preso le mosse da alcune domande:” la CPCE ha bisogno di una strategia? Abbiamo bisogno di una strategia per essere la Chiesa insieme? Come Chiese nel senso più ampio di missione, ha detto, abbiamo bisogno di una strategia: con quali compiti e impegni comuni vogliamo realizzare la nostra missione e intensificare la nostra comunione ecclesiale? E all’interno di essa, come diventeremo di più di ciò che siamo?“
In particolare per la strategia di azione della Comunione nei prossimi anni, Rose ha delineato il quadro seguente:
- Sostenibilità. L’azione per il clima e la mitigazione dei cambiamenti climatici sono una sfida per tutti: per noi, per le nostre società e per i responsabili politici. Ma anche la Comunione ha la responsabilità, nei suoi processi di lavoro, di tenere conto delle conseguenze ambientali che dovranno affrontare soprattutto le prossime generazioni di esseri umani e di altri esseri viventi. L’azione per il clima ha senso, tuttavia, solo se implica una gestione economica, attenta e solerte. In generale, quindi, sostenibilità nella Comunione significa operare in modo da risparmiare risorse. Quanti processi di lavoro ci fanno bene e possiamo gestire bene? Di quante persone abbiamo bisogno per questo? Quanti spostamenti sono necessari e cosa può avvenire in modo digitale? Su quali argomenti la CPCE può sviluppare una prospettiva comune che possa dare un contributo proprio al dialogo ecumenico? Cosa ci arricchisce veramente come comunione ecclesiale? Queste domande ci aiutano a liberarci da ideali distruttivi, come il desiderio di essere completi, e a non consumarci per una sopravvalutazione di noi stessi.
- Ricezione. Negli ultimi 50 anni il CPCE ha prodotto documenti teologici ammirevoli, densi e complessi. Spesso è una questione di fortuna sapere quali continuano ad avere un effetto costruttivo nei dibattiti ecclesiali e accademici e quali invece hanno un impatto limitato. I documenti prodotti dalla CPCE dovrebbero suscitare nuove idee, dare spunti di riflessione e ispirare i lettori a considerare qualcosa di nuovo e poi a provarlo. Questo tipo di accoglienza creativa, pratica e aperta è stata finora un po’ carente. Una nuova priorità di lavoro è quella di incoraggiare questi processi di accoglienza vivaci che, allo stesso tempo, ampliano e approfondiscono i temi, collegandoli con altri temi e integrandoli con nuovi spunti di riflessione. Inoltre, sogno un “istituto di studi avanzati” sulla teologia CPCE. Sarebbe a disposizione degli studenti di dottorato che lavorano sui temi della CPCE; i pastori che desiderano approfondire l’interesse per la teologia europea potrebbero recarvisi per un anno sabbatico di studio. I professori in pensione potrebbero presentare e discutere le loro ricerche sulla CPCE per uno o due semestri. Un istituto di questo tipo potrebbe anche spronare le facoltà teologiche a occuparsi maggiormente di temi CPCE e a insegnare l’ecclesiologia CPCE.
- Flessibilità. La forza della Comunione deriva dall’aver creato una struttura organizzativa […] flessibile e forte, adattabile e resistente. Manterremo questa forza se il carico di compiti consentirà a tutti i membri di essere flessibili e aperti nel loro lavoro. Il mondo sta cambiando rapidamente e inaspettatamente. Non possiamo prepararci direttamente. Ma possiamo prepararci pianificando il tempo libero e le risorse, in modo da poterlo affrontare man mano che accade, in modo creativo e dettagliato. Per coloro che sono attivi nei programmi CPCE e per il personale della sede centrale, il CPCE deve rimanere un luogo in cui si goda il proprio lavoro, in cui si possa sviluppare una teologia approfondita e iniziative creative, e soprattutto si abbia tempo per il dialogo.
Nelle sue conclusioni Rose ha sottolineato quanto “nella fede cristiana possiamo sopportare di vedere realmente lo stato attuale del mondo, il superamento di alcuni punti critici, la sofferenza che porta alle migrazioni, le ingiustizie violente, le guerre che distruggono la vita. Alla luce della speranza di risurrezione questa sofferenza diventa, da un lato, ancora più drammatica e visibile nella sua abissale profondità. D’altra parte, la speranza di risurrezione ci attira verso possibili trasformazioni e apre prospettive di altre e migliori opportunità“.
Dopo una breve pausa la sessione plenaria ha proseguito ascoltando la relazione del Segretario generale della CPCE/GEKE, Mario Fischer. Questi i passaggi più rilevanti.
“Il futuro sta diventando di nuovo imprevedibile. Anche i programmi futuri della Chiesa in genere non prevedono più scenari oltre i dieci anni. Al massimo, le previsioni demografiche e finanziarie si spingono a una generazione in più, cioè 30 anni. Sono finiti i tempi in cui la Chiesa pensava in termini di secoli. Con il suo documento strategico per i prossimi sei anni, anche il CPCE sembra seguire questa tendenza, anche se i tempi per la pianificazione del suo lavoro sono sempre stati dall’Assemblea Generale al Consiglio Generale“.
Fischer ha sottolineato la “necessità di una nuova prospettiva con cui affrontare il futuro. È tempo di parlare di speranza in modo nuovo. Forse è proprio ora, in tempi in cui le visioni del futuro innamorate del progresso non sono più convincenti: abbiamo l’opportunità di liberare il concetto teologico di speranza dal banale positivismo sul futuro e la fiducia nel progresso, e di riscoprire la speranza cristiana che può plasmare la nostra vita e le nostre azioni e la nostra fede. Nella sua “Teologia della speranza”, Jürgen Moltmann ha scritto: «La speranza cristiana è la speranza della resurrezione, e dimostra la sua verità nella contraddizione del futuro promesso e garantito di giustizia contro il peccato, di vita contro la morte, del dominio contro la sofferenza, della pace contro la lotta».
A livello ecumenico Fischer ha chiarito che “con l’Accordo di Leuenberg possiamo introdurre nel discorso ecumenico un modello di unità interessante per molte chiese. Per molti anni abbiamo visto la nostra comunione ecclesiale crescere costantemente. Anche se le chiese stanno diventando più piccole in termini di membri, il numero di chiese firmatarie della Concordia di Leuenberg sta aumentando. Tuttavia, a causa di fusioni e unioni, negli ultimi anni il numero di chiese aderenti si è mantenuto costante tra i 94 e i 97 membri“.
Al termine dell’ascolto delle relazioni è stato quindi illustrato il lavoro in gruppi, le modalità di svolgimento e le tematiche da affrontare.
Ed ancora, la seduta plenaria ascolta il report sul documento “Gender – Sexuality – Marriage – Family, Reflections on behalf of the Council of the Communion of Protestant Churches in Europe“, e le proposte di risoluzione che potrebbero essere adottate.
Giovedì 29 agosto 2024 – Sessione plenaria mattutina
Ripresi i lavori della nona Assemblea della Comunione delle Chiese Protestanti in Europa stamattina a Sibiu (Romani).
Il programma prevede per oggi (ed è in corso al momento in cui scriviamo) la relazione della teologa Christine Schliesser dell’Università di Fribourg in Svizzera dal titolo “Dammi speranza! Verso una nuova teologia della speranza”.
L’ampia e approfondita relazione, di cui riportiamo alcuni stralci, ha suscitato un vivo dibattito tra i partecipanti.
- La ciliegina sulla torta: molti pensano, come ha rilevato la psicoterapeuta Nancy Colier che la speranza sia una sorta di ciliegina sulla torta. La speranza è un importante indicatore della nostra salute mentale: la speranza aumenta la resilienza, aiuta a ridurre lo stress e a produrre endorfine. […] La speranza è qualcosa di simile alla firma dell’esistenza cristiana, sia individualmente che collettivamente come Chiesa. Questa natura centrale della speranza per la nostra fede cristiana è espressa nel tema dell’Assemblea Generale: Alla luce di Cristo – Chiamati alla speranza. Questo tema non potrebbe essere più attuale in un mondo sempre più segnato dalla disperazione. La speranza è dunque la firma della vita cristiana. Ma attenzione! Come ogni firma, anche questa può essere falsificata, quasi cancellata o distorta. Di conseguenza, cercherò ora di sfatare le false speranze. Poi rifletteremo insieme su come la speranza di guardare avanti sia in relazione con lo sguardo al passato, e su quale sia il ruolo delle “memorie pericolose”, come le ha definite Johann Baptist Metz. Nell’ultima parte daremo poi uno sguardo pratico alla speranza in termini di trio: radici della speranza, energia e rabbia. Mi auguro che risulti chiaro che una teologia della speranza non è una teologia che riguarda solo una parte della nostra vita e che viene affrontata solo in occasioni speciali, ma che vuole essere una teologia per la vita e per tutti i giorni.
- L’oppio dei popoli: L’apartheid è stato uno dei capitoli più oscuri della storia cristiana compreso il fatto che questo regime ingiusto sia stato anche giustificato teologicamente per molti decenni. La sanzione teologica dell’ingiustizia terrena era spesso legata alla consolazione che l’aldilà sarebbe stato migliore. Uno dei più noti critici di questa falsa speranza, che stroncava sul nascere ogni tentativo di migliorare la situazione, fu Karl Marx. Al volgere dell’anno 1843/44 scrisse nell’introduzione alla sua “Critica della filosofia del diritto di Hegel”: “La religione è il sospiro della creatura oppressa, il cuore di un mondo senza cuore, così come è l’anima di condizioni senza anima”. Potremmo aggiungere: “Così come è anche la speranza dell’umanità senza speranza”. E poi la famosa frase: “È l’oppio dei popoli”. Questa frase è stata spesso intesa come un giudizio puramente negativo sulla religione. In realtà, però, la metafora dell’oppio è ambivalente: nel XIX secolo, l’oppio era una medicina forte ma anche la fonte di una rovinosa dipendenza. Marx vede questa dipendenza anche in relazione alla religione. In realtà, però, secondo Marx la religione serve spesso soprattutto come anestetico. Come un forte anestetico, la religione copre i sensi e anestetizza la sensazione di dolore causata dalle strutture di classe oppressive. Invece, attraverso la religione come droga, le persone soccombono alla piacevole illusione di navigare in un percorso di beatitudine eterna. In questo viaggio – quando la “speranza” si trasforma in “droga” – la sofferenza del mondo sembra temporanea e trascurabile. In questo modo, gli oppressi sviluppano una falsa consapevolezza che li porta a subordinarsi a strutture e idee di fede che servono solo a rafforzare il dominio della classe dominante. Perché dovremmo cercare di rendere il mondo un posto migliore? Perché dovremmo combattere l’ingiustizia e la povertà e perchésostenere la pace e la riconciliazione? Questo mette in luce qualcosa di importante. Queste riflessioni indicano, in modo perfettamente corretto, che la speranza cristiana – o di ispirazione religiosa – è un’arma potente ma a doppio taglio. La speranza può essere sia un tranquillante che un potenziatore di energia. Tuttavia, mentre i critici della speranza, come Marx, Nietzsche e recentemente anche de la Torre, parlano soprattutto dei suoi lati problematici, essi sottovalutano completamente il potere costruttivo della speranza radicale.
- Ricordi pericolosi: La speranza, a prima vista, sembra rivolta al futuro. Si spera che il tempo sia bello, che presto avremo un aumento di stipendio, che le guerre in corso cesseranno, si spera. Ma perdiamo subito di vista il fatto che la speranza è anche fondamentalmente legata al passato. Il ponte tra i tempi è costituito dalla memoria. La memoria mantiene in vita anche gli scioccanti crimini e le violazioni dei diritti umani del passato. Ma dov’è la speranza per gli innumerevoli individui oppressi e vittime della storia? La loro storia è semplicemente finita? Max Horkheimer non lascia dubbi: “Ciò che è accaduto alle persone vittimizzate non può essere sanato dal futuro. Non saranno mai chiamati a godere della beatitudine nell’eternità. La natura e la storia hanno fatto il loro lavoro e l’idea del Giudizio Universale, in cui è confluito l’infinito desiderio degli oppressi e dei morenti, è solo un residuo del pensiero primitivo che fraintende il ruolo banale dell’uomo nella storia naturale e umanizza l’universo” (Horkheimer 1980, 341). Johann Baptist Metz prende una direzione diversa da Horkheimer nel suo tentativo di ripensare la teologia cristiana dopo l’orrore della Seconda guerra mondiale. Metz chiede una “solidarietà anamnetica” (che contiene la parola greca “mnéme”, cioè memoria) con le vittime (Metz 1977:98). La teologia dopo Auschwitz non può più avvenire fuori, ma solo dentro la sofferenza e il dolore di questo mondo. Una teologia cristiana della speranza non tenta di ignorare sofferenza e il dolore, o di minimizzarli, né cerca di glorificarli teologicamente (secondo il motto “Il Signore punisce coloro che ama”). Una teologia cristiana della speranza prende molto sul serio la sofferenza e il dolore e li riconosce come parte amara delle nostre realtà. Allo stesso tempo, la sofferenza del passato e del presente non è la realtà che definisce tutto. Piuttosto, la teologia cristiana sostiene che la memoria passionis, cioè la memoria della sofferenza e del dolore, è inseparabilmente intrecciata con la memoria resurrectionis, con il ricordo della risurrezione. Ma Metz sottolinea ancora un’altra cosa: questa memoria passionis, i ricordi della sofferenza, sono “ricordi pericolosi”, come li chiama lui (Metz 1977:176, cfr. 79). Perché questi ricordi sono pericolosi? Perché mantengono la speranza di una liberazione futura di fronte alle strutture fatali del passato e del presente. Insieme al grande teologo della speranza Jürgen Moltmann, recentemente scomparso, Metz la mette così: “Ogni ribellione contro la sofferenza è alimentata dal potere sovversivo della sofferenza ricordata” (Metz/Moltmann 1995:8). Non sorprende quindi che l’inno alla speranza intriso di memoria di Eddy Grant sia stato percepito come una minaccia dal regime dell’apartheid e immediatamente vietato. I ricordi pericolosi racchiudono una speranza che non esclude la sofferenza e il dolore. La fede cristiana, con il suo legame inscindibile di disperazione e speranza, di passione e resurrezione, incarna la speranza che le storie di coloro che sono stati tormentati e uccisi non saranno l’ultima parola della storia. La speranza cristiana forma una contro-narrazione che attraversa i tempi.
- Dammi speranza! In conclusione è necessario sottolineare tre punti che sono centrali per una teologia della speranza: Radici legate alle speranza; energia che promana dalla speranza; rabbia connessa alla speranza;
- Radici legate alla speranza: La speranza, per citare ancora Jürgen Moltmann, è gioia anticipata. Gioia nella consapevolezza del compimento. È nella consapevolezza che, in Gesù Cristo, il Cielo è venuto sulla Terra – anzi, il Regno di Dio stesso è già iniziato – che troviamo le radici della speranza, e anche la motivazione e l’impegno, per sostenere un mondo più giusto. Questa speranza punta già al suo compimento. La speranza è saldamente fondata sull’azione riconciliatrice di Dio con noi esseri umani; è fondata sulla morte e sulla risurrezione di Gesù Cristo.
- Energia che promana dalla speranza: La speranza non deve essere confusa con l’ingenuità o il puro ottimismo. “Allora speriamo bene!” – non è una speranza ma un pio desiderio, come ha dovuto scoprire nostro figlio quando si è dimenticato di studiare per l’esame di francese. Quindi la speranza non è apatia o letargia, ma la speranza prende forma diventando attiva. Di conseguenza, questa speranza è l’esatto contrario della rassegnazione. La vera speranza si mette in moto! È piena di energia. […] Purtroppo, la speranza non è uno dei soliti psicofarmaci di marca. Affinché non si crei una falsa “pressione alla speranza”, è importante rendersi conto di quanto segue: non siamo noi ad aggrapparci alla speranza, è la speranza che ci aggrappa.
- Rabbia connessa alla speranza: la speranza non aspetta pazientemente in coda fino a quando, prima o poi, sarà il suo turno: la speranza si spinge in avanti. La speranza ricorda costantemente a Dio: “Venga il tuo regno”. […] Il regno di Dio è già sorto, ma non è ancora completo. Insieme a tutte le creature sospiriamo e gridiamo per la salvezza. Veniamo davanti a Dio e lo assilliamo con la nostra rabbia, la nostra impotenza, la nostra paura e anche la nostra mancanza di speranza. “Spero, Signore, aiuta la mia mancanza di speranza”. La speranza è legata a ieri; la speranza si protende verso il domani, ma la speranza vive nel qui e ora. Poiché sappiamo cosa sta per accadere, possiamo amare ciò che c’è. Qui siamo al fianco di Nietzsche e chiamiamo insieme “Fratelli – e sorelle – restate fedeli alla Terra”. Dietrich Bonhoeffer, insieme a Moltmann uno dei miei teologi preferiti, parla di una profonda vita di questo mondo, che vuole esprimere proprio questo. Non si tratta di essere ultraterreni o romantici nei confronti del mondo – si tratta di vivere nella certezza che il meglio deve ancora venire, dando perciò il nostro meglio oggi. Nel novembre 1934, nel bel mezzo della “lotta ecclesiale” all’interno della Chiesa evangelica, Bonhoeffer scrisse quanto segue: “Una fede che non spera è malata. È come un bambino affamato che non mangia, o una persona stanca che non vuole dormire. Se una persona crede, certamente spera. E sperare non è una vergogna, una speranza senza limiti. Chi vorrebbe anche parlare di Dio senza sperare di vedere Dio qualche volta? Chi vorrebbe parlare di pace e di amore tra gli uomini senza volerli sperimentare un giorno nell’eternità? Chi vorrebbe parlare di un mondo nuovo e di una nuova umanità senza sperare di potervi partecipare? E perché dovremmo vergognarci della nostra speranza? Non è della nostra speranza che un giorno ci vergogneremo, ma della nostra povera e timorosa disperazione, che non si fida di nulla, né di Dio, che nella falsa umiltà non si protende verso le promesse di Dio, che si arrende in questa vita e non riesce a guardare alla potenza e alla gloria eterna di Dio… Più una persona osa sperare, più diventa grande con la sua speranza: l’uomo cresce con la sua speranza – se è solo la speranza in Dio e nell’onnipotenza di Dio. La speranza rimane” (Bonhoeffer 1994, 401 ss.).
Venerdì 30 agosto 2024 – Sessione plenaria mattutina
I lavori di questa sessione plenaria hanno seguito l’illustrazione delle discussioni avvenute ieri all’interno dei focus group.
In particolare il dibattito ha potuto ascoltare una riflessione sul tema dei conflitti e delle guerre e dell’impegno delle Chiese nel superamento di questi ultimi.
Con riferimento alla situazione Ucraina, durante la tavola rotonda intitolata “tempo di speranza – le Chiese protagoniste nel superamento della guerra e del conflitto“, è stata ribadita la necessità di rimanere al fianco delle persone in Ucraina come vicino a chiunque soffra.
Olexandr Gross della Chiesa protestante tedesca in Ucraina (DELKU) ha ricordato che dopo il crollo dell’Unione Sovietica, 14 repubbliche erano soddisfatte del loro destino e una no. Putin aveva poi tentato di ricostruire il vecchio impero. “Abbiamo imparato a convivere con la guerra”, ha detto il presidente del sinodo DELKU, e ha continuato: “n Ucraina sappiamo che ogni giorno può essere l’ultimo“.
Come segno di speranza, la sua chiesa ha costruito tre nuovi parchi giochi per bambini negli ultimi anni, ha distribuito cibo, ha aiutato con l’assistenza medica per l’esercito e ha tenuto i culti due volte a settimana per dare spazio alla speranza e alla preghiera.
L’elettricità è attualmente disponibile solo per tre ore al giorno nella maggior parte delle aree. A causa di queste condizioni estreme, molte persone continuano a lasciare l’Ucraina e a fuggire in cerca di una vita migliore.
Il rettore del seminario teologico della Chiesa luterana russa, Anton Tikhomirov di San Pietroburgo, ha sottolineato che al momento non tutto va bene nel mondo. Nell’attuale conflitto, ha detto Tikhomirov, che è anche Arcivescovo aggiunto della Chiesa luterana di Russia, bisogna considerare anche le molte persone che in Russia sono ugualmente vittime. Tra rifugiati, ad esempio. La sua Chiesa continuerà a pregare per la pace e a mantenere le relazioni con le sorelle e i fratelli ucraini. “Ma abbiamo anche imparato”, ha detto Tikhomirov, a curare le ferite silenziosamente.
Per David Bryce, ex moderatore della Chiesa presbiteriana in Irlanda, che da giovane ha perso un buon amico in un attentato dell’IRA, le cicatrici, a differenza dei lividi, non possono guarire. “Gli omicidi erano comuni, ma quando il mio amico è stato assassinato, mi ha fatto precipitare in una grave crisi. Ci ho pensato ogni giorno negli ultimi 45 anni e la perdita ha plasmato me e il mio lavoro nella Chiesa”. Tuttavia, per lui, la chiamata di Gesù ad amare i nemici è un percorso di indulgenza. In Irlanda del Nord, ciò si è tradotto nella ricostruzione della fiducia dove è stata persa. “Stare nella stessa stanza. Forse sedersi allo stesso tavolo e iniziare una relazione”.
Christine Schliesser, Responsabile degli Studi presso il Centro Ecumenico per la Fede e la Società dell’Università di Friburgo e Professore Associato di Teologia Sistematica ed Etica presso l’Università di Zurigo, coinvolta anche nel processo di riconciliazione nel conflitto del Ruanda, ha parlato anche dell’importanza di costruire relazioni a lungo termine.
Con il progetto “Mucche per la pace”, si è provato a ricostruire le relazioni tra popoli in guerra, affidando alle persone coinvolte nelle rispettive parti del conflitto, una mucca di cui prendersi cura. La Chiesa svolge un ruolo importante nel processo di riconciliazione in Ruanda, in quanto il 90% sono ferventi cristiani, ha detto Schliesser.
Infine Samir Vrabec, pastore della chiesa protestante di Osijek (Croazia), che ha vissuto l’orrore della guerra da giovane, ha spiegato di aver provato sentimenti contrastanti quando gli è stato chiesto di partecipare a questo incontro. “Non sono ancora pronto a dare una testimonianza così profonda sul periodo della guerra. Ma posso parlare di come ho vissuto la guerra”, ha spiegato. In particolare ha raccontato come l’impegno di un pastore riformato nella Chiesa luterana, ha contribuito a dargli forza, a sfruttare le possibilità dell’ecumenismo nella costruzione di relazioni che curano le ferite della divisione, del conflitto. “Il segno più forte – ha detto – è stato quando il nostro pastore riformato ha celebrato i funerali dei credenti ortodossi“.
I lavori sono proseguiti ancora nel pomeriggio ma all’interno dei focus group fino alle ultime deliberazioni dell’Assemblea che verranno approvate nella giornata odierna.
Venerdì 30 agosto 2024 – Sessione plenaria mattutina
Durante la riunione plenaria sono stati resi noti i membri eletti della Presidenza della CPCE/GEKE:
- Marko Titus, Vescovo, Chiesa Evangelica Luterana in Estonia
- Georg Plasger, Teologo, EKD, Germania
- Rita Famos, Teologa, Presidente della Chiesa Riformata Svizzera (Presidente esecutivo)
La nuova Presidenza (del Consiglio) guiderà le basi del lavoro del CPCE nei prossimi sei anni, insieme all’attuale Segretario Generale Dr Mario Fischer, che terminerà il suo mandato a metà del prossimo mandato del Consiglio.
Mentre, il nuovo Consiglio, che rappresenta diverse regioni del CPCE, con particolare attenzione alla composizione di genere, garantisce la massima rappresentanza alle varie famiglie denominazionali, come Riformati, Luterani, Metodisti e Uniati.
I nuovi membri del Consiglio e i loro vice provengono da 15 diversi Paesi europei. Eccone i nomi
- Rev. Ingrid Bachler (Chiesa Evangelica di Confessione Augustana in Austria),
- Rev. Dr. Nathan Eddy (Chiesa riformata unita)
- Rev. Kjærgaard Fischer (Chiesa Evangelica Luterana in Danimarca),
- Dimitris Boukis (Chiesa evangelica di Grecia),
- Rev. Dr Annette Gruschwitz (Chiesa Metodista Unita in Germania),
- Rev. Eva Guldanová (Chiesa Evangelica A.C. in Slovacchia),
- Pastore Dr Tamás Kodácsy (Chiesa riformata in Ungheria),
- Pastore Thomas Prieto Peral (Chiesa evangelica luterana in Baviera),
- Pastore Dr. Ulrich Rüsen-Weinhold (Chiesa protestante unita di Francia – EPUdF), e
- Pastora Ulrike Scherf (Chiesa evangelica di Assia e Nassau).
Insieme a questi ne fanno già parte:
- Rev. Markus Schaefer (Chiesa Evangelica della Renania);
- Rev. Marco Batenburg (Chiesa Protestante dei Paesi Bassi);
- Rev. Dr Martin Hirzel (Chiesa Evangelica Riformata Svizzera);
- Rev. Marcin Brzóska (Chiesa Evangelica di Confessione Augustana in Polonia);
- Rev. Dr Pawel Andrzej Gajewski (Chiesa Evangelica Valdese);
- Rev. Dr Jorgen Thaarup (Chiesa Metodista Unita, Europa del Nord);
- Rev. Jana Hofmanová (Chiesa Evangelica di Fratellanza Ceca);
- Dr Klára Tarr Czelovszky (Chiesa Evangelica-Luterana in Ungheria);
- Rev. Susanne Bei der Wieden (Chiesa Evangelica Riformata in Germania);
- Rev. Raphael Quandt (Chiesa evangelica luterana in Baviera);
- Rev. Petra Renate Magne de la Croix (Unione della Chiesa protestante di Alsazia e Lorena – UEPAL);
- Rev. Dr Susanne Schenk (Chiesa evangelica luterana nel Württemberg);
- Rev. Gerhard Servatius-Depner (Chiesa evangelica di Confessione Augustana in Romania).