
Non nominare Dio invano
L’uso politico del nome di Dio riemerge con forza nel XXI secolo per giustificare ingiustizia e oppressione: un fenomeno in contrasto con il Dio dell’amore e della misericordia.
Il comandamento dimenticato
L’Antico Testamento riporta due volte, nel libro dell’Esodo e in quello del Deuteronomio, l’espressione: “Non nominare il nome di Dio invano“.
Si potrebbe intendere questa frase come un semplice ammonimento contro la bestemmia o l’uso irrispettoso del nome di Dio. Ma è davvero solo questo il suo significato?
Il comandamento biblico va più in profondità: non è solo un monito contro l’irriverenza, ma un divieto ad usare il nome di Dio per giustificare l’ingiustizia, coprire menzogne e tollerare l’oppressione. In breve: non usate Dio per i vostri scopi!
La religione nella politica contemporanea
Se il secolo scorso, per dirla con T.S. Eliot, si è concluso con un lamento, questi primi decenni del nuovo secolo sono iniziati nello stesso modo. Dove ci porteranno?
L’impegno delle Chiese per una società più laica e inclusiva ha portato intanto a una realtà paradossale: molti politici si rifugiano in simboli e richiami religiosi per compiere scelte che non solo giustificano l’ingiustizia, ma la promuovono apertamente. Non coprono le menzogne, ma le espongono, salvo poi negarle. Non tollerano l’oppressione, ma la legalizzano.
Trump il profeta
Donald Trump, Presidente degli Stati Uniti, una “nazione sotto dio”, viene rappresentato come colui cui è affidato un mandato profetico. Durante la campagna elettorale del 2024, un video di supporto proclamava: “God made Trump” (dio ha fatto Trump).
Il 7 febbraio scorso, il Presidente ha istituito “The White House Faith Office” e si è fatto ritrarre circondato da predicatori e telepredicatori che gli imponevano le mani invocando dio.
Anche in Europa, diversi leader politici hanno introdotto richiami religiosi nei discorsi istituzionali non per affermare valori universali, ma per ingraziarsi le frange più conservatrici e fondamentaliste della società e delle Chiese, riproponendo l’attualità della lotta tra bene e male in cui presentarsi come rappresentanti del bene.
Un dio minuscolo
Alle obiezioni sull’evidente contraddizione tra i valori “tradizionali” promossi tra queste frange cristiane e la figura di Trump, la risposta di alcuni predicatori è sconcertante: tutti hanno peccato, e nella Bibbia Dio ha usato uomini imperfetti come Re Davide e Mosè. Questo è il ragionamento di Franklin Graham, figlio del famoso evangelista Billy Graham.
L’uso politico del nome di dio, progressivamente alienato nel Novecento, è rientrato in scena come programma politico. Un programma che promuove intolleranza, discriminazione, speculazione e violenza.
Ma di quale dio si parla? Di un dio triste, arrabbiato, meschino. Un dio minuscolo, funzionale alle necessità del potere. Un dio che assomiglia più agli uomini che al Dio della Parola.
Il Dio che Libera
L’uso del nome di dio per giustificare il potere riduce la fede a una formula che alimenta le paure umane anziché liberarcene. Questo dio non libera, non comprende, non ha pietà per l’orfano, la vedova o il debole. Non pratica la misericordia del buon Samaritano.
Non gioisce della verità, perché non la riconosce. È un dio piccolo, triste, funzionale a chi si fa bullo del prossimo. Un dio che scompare davanti al potere e festeggia con il denaro.
Un dio che, in effetti, non esiste. Perché il suo compito si esaurisce nel momento stesso in cui viene evocato.
Per questo, oggi più che mai, è il tempo favorevole per annunciare il Dio che accoglie, che coltiva speranza, che è misericordioso. La cui grazia trasforma le persone. Un annuncio centrale e sovversivo.
Su questa certezza stiamo, per dirla con Martin Lutero: non possiamo altrimenti. Dio ci aiuti.