
Si può morire a 39 anni?
All’alba un corpo nudo e visibilmente maltrattato penzola da una forca nel campo di concentramento di Flossenbürg: è Dietrich Bonhoeffer.
9 aprile 1945
Il secondo conflitto mondiale si avvia all’epilogo che conosciamo, eppure il regime nazista, nel disastroso tramonto degli anni tragici dalla presa del potere, trova ancora le energie perché dei suoi oppositori non rimanga traccia.
Il giovane teologo luterano che tanto si era impegnato per opporsi alla nazificazione della Chiesa trova così la morte.
Sono trascorsi 80 anni ed oggi, anzi già ieri, la figura di Bonhoeffer è oggetto di studio molte volte.
Anche l’industria cinematografica statunitense ne ha fatta una icona. Nel modo che gli è congeniale il 22 novembre scorso è apparso, distribuito dalla Angel Studios, il film Bonhoeffer: Pastor. Spy. Assassin.
Una pellicola che ha suscitato non poche polemiche per aver piegato la storia e la vita di Bonhoeffer ad uso e consumo dello spettacolo cinematografico.
Un uomo normale
Poco prima delle elezioni presidenziali americane del novembre scorso, teologi americani e tedeschi hanno messo in guardia contro la frequente e facile equiparazione tra il presente e il regime nazista. Una equiparazione storicamente falsa che rischia di risucchiare anche la figura di Bonhoeffer.
Il teologo e studioso di etica sociale berlinese Wolfgang Huber, tra altri firmatari di una lettera aperta con cui mette in guarda dalla tentazione di mitizzare e strumentalizzare Bonhoeffer, sottolinea quanto Bonhoeffer si considerasse molto più normale di come viene dipinto oggi. Non ha mai voluto essere un martire ed ha affrontato la realtà del suo tempo accettandone la complessità. Nonostante questa complessità mettesse a dura prova le sue scelte.
Intorno a vent’anni
Nato a Breslavia nel 1906, Bonhoeffer diviene un teologo di spicco all’inizio dei suoi vent’anni. Fin da subito criticò il regime totalitario nazista per le sue politiche razziali fino a divenire membro della Chiesa confessante.
Già nel 1933 scrisse un saggio intitolato “La Chiesa e la questione ebraica”. In esso spronava alla resistenza attiva contro l’ingiustizia dello Stato. Nel 1935 gli è proibito di parlare e insegnare.
Possibilità di emigrare
Nel 1929 si presentò l’opportunità di emigrare: tuttavia la parentesi statunitense non durò a lungo e Bonhoeffer decise di tornare in Germania. Lo storico Johannes Tuchel ha chiarito che il giovane teologo luterano era consapevole del rischio rappresentato dalla repressione dello stato nazista. Tuttavia Bonhoeffer non immaginava ancora fino a dove si sarebbe potuto spingere il regime.
Si presume che Bonhoeffer sia venuto a conoscenza dei piani per un tentativo di colpo di stato contro Hitler già nel 1939 dal cognato Hans von Dohnanyi.
Nel 1943 è arrestato e mentre si trova in prigione scrive le sue opere teologiche più conosciute, pubblicate solo dopo la guerra. La figura di questo uomo e teologo fu riscoperta solo dopo, anche dalle Chiese Protestanti.
Così giovane, così risoluto
Ufficialmente Bonhoeffer non viene imprigionato a causa dei suoi contatti con l’estero, ma perché sospettato di essersi sottratto al servizio militare e di aver aiutato altri a farlo. Durante l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944 e solo dopo la scoperta dei piani del colpo di Stato, è accusato come membro della resistenza.
Poche settimane prima del suo arresto, Bonhoeffer si era fidanzato con Maria von Wedemeyer, di 18 anni più giovane di lui. La poesia più famosa del suo lascito, “Von guten Mächten”, è tratta dall’ultima lettera che ci è pervenuta.
Nella primavera del 1945 Bonhoeffer viene prima trasferito nel campo di concentramento di Buchenwald, vicino a Weimar, e poi deportato nel campo di concentramento bavarese di Flossenbürg. Poco prima della fine della guerra, con gli Alleati già alle porte, viene assassinato per ordine di Hitler il 9 aprile 1945: il regime non voleva che queste persone prendessero parte alla riorganizzazione della Germania.
La necessità di vedere
La figura di Bonhoeffer sorprende ancora oggi e testimonia quanto sia necessario, per i cristiani, non girarsi dall’altra parte dinanzi alle ingiustizie, ai soprusi, alle violenze.
Non si tratta, semplicemente, di fare del bene. Quella di Bonhoeffer non è una sorta di filantropia cristiana nei confronti del prossimo e nel suo tempo.
Bonhoeffer prende posizione come cristiano, come teologo, come luterano. E lo fa senza tirarsi fuori dalla realtà in cui opera: dentro la chiesa, nel suo ministero, nella scelta della responsabilità.
Della responsabilità della pace. Già, perché Bonhoeffer consacrò la sua vita alla pratica della pace. Proprio nel momento in cui ogni pace era annichilita a livello interno dal regime e, all’esterno, dalla guerra.
Non si tirò fuori, e avrebbe potuto farlo, dalle contraddizioni che attraversavano il suo tempo e la sua stessa Chiesa. Ed accettò quelle contraddizioni che lo sfidavano: in quanto cristiano, nonviolento e teologo.
Il tutto nella cornice della normalità di un contesto politico e storico alterato e dominato dalla violenza e dal terrore.
Per questo Bonhoeffer non si considerò mai eroe di nulla ma semplicemente e cristianamente un uomo alla ricerca della conversione.
Rincorrere Bonhoeffer
Paolo Ricca, nel 1996, in un articolo per il mensile dell’Associazione culturale “Oscar A. Romero” – Il Margine, scrive:
Le chiese devono trovare il coraggio di dirsi pacifiste e di diventarlo. Qui è necessaria una conversione analoga a quella che lo stesso Bonhoeffer ha vissuto; questa conversione, a mio giudizio, non solo non avvenne allora ma non è avvenuta neppure oggi. […] La pace va «osata per fede», cioè la pace non è un atto di coraggio dettato dall’ordinamento umano ma dalla fede in Dio, non è ubbidienza a un ideale ma ubbidienza a Dio e al suo comandamento concreto. La pace, quindi, è un fatto spirituale prima che diplomatico e politico. La pace nasce da Dio e l’anima del lavoro per la pace è la preghiera, che fa spazio all’azione di Dio.