Sinodo 2021

Sinodo 2021

„Continuità, cambiamento, futuro – La misericordia come responsabilità della Chiesa“: 2a Seduta del XXIII Sinodo della CELI 29.04.– 01.05.2021 - Online

Ospite d’onore il Segretario generale della FML, Pastore Martin Junge

Trasmissione online aperta anche ai membri non sinodali

Gruppi di lavoro tematici:

Gender, Digitalizzazione, Giovani, Ambiente, la Pandemia e le sue conseguenze, Diaconia

Siate, diventate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”.

La misericordia è la parola dell’anno 2021 e la misericordia è al centro della 2° Seduta del XXIII Sinodo della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. I lavori del Sinodo si svolgeranno all’insegna del tema “Continuità, cambiamento, futuro – La misericordia come responsabilità della Chiesa”.

“C’è ancora tanta incertezza riguardo al futuro in questa difficile situazione legata alla pandemia”, dice il Decano della CELI, Heiner Bludau, spiegando la scelta del tema. “Questo vale anche per la nostra chiesa. La riflessione su questa situazione sarà una parte importante dell’agenda del nostro sinodo. Dobbiamo chiederci quale contributo possiamo dare noi, in questo frangente, alla società nel suo insieme “. La chiesa però, ribadisce il decano, non va considerata solo un’istituzione sociale. “È la comunità di coloro che credono nel Dio uno e trino”.

Il presidio sinodale, Wolfgang Prader e la sua vice Ingrid Pfrommer, insieme al Concistoro della CELI, a tutela della sicurezza di tutti i partecipanti, hanno deciso di tenere il sinodo online piuttosto che in presenza. Mancherà quindi uno degli aspetti importanti di un Sinodo, ovvero la possibilità dell’incontro con l’altro, dello scambio reciproco, ma in cambio il Sinodo sarà per la prima volta accessibile online e da casa non solo a tutti i membri della CELI, sparsi in 15 comunità in tutta Italia dal Brennero alla Sicilia ma anche a tutti gli interessati che si registrano (per registrarsi www.chiesaluterana.it).

“La pandemia sta determinando i preparativi per il Sinodo di quest’anno”, sottolinea il presidente del Sinodo Wolfgang Prader. Devono essere esplorate tutte le possibilità tecniche, vanno esaminate e testate le piattaforme disponibili per poter garantire ai sinodali uno svolgimento regolare dei lavori, nel rispetto dello statuto. “Spero che riusciremo a discutere intensamente, anche se in modalità online, dei temi più importanti e urgenti, in modo da essere in grado di prendere decisioni buone e lungimiranti.”

Ospite d’onore della seconda sessione del XXIII Sinodo, venerdì 30 aprile, sarà il segretario generale della Federazione Mondiale Luterana, Martin Junge. La Chiesa Evangelica Luterana in Italia si aspetta importanti impulsi dalla sua relazione, così come dai sei gruppi di lavoro che si terranno nel secondo giorno del Sinodo, sempre venerdì 30 aprile, sui temi: gender; digitalizzazione; giovani; ambiente; le conseguenze della pandemia e diaconia.

Solo sei mesi fa, dal 9 all’11 ottobre 2020, si era svolta a Roma in presenza (per quanto con diversi mesi di ritardo a causa del Covid) la 1a Seduta del XXIII Sinodo che aveva eletto il nuovo Presidio sinodale con Wolfgang Prader come presidente e Ingrid Pfrommer come vicepresidente.

Sono tempi difficili per tutti e tempi complicati anche per la Chiesa, che ha saputo stare vicina ai suoi fedeli in questi mesi segnati dalla paura, dalla tristezza e dalle restrizioni, nel pieno rispetto di tutte le disposizioni. Si sono aperte nuove strade, altre invece si sono chiuse. Uno dei temi importanti del Sinodo, insieme a Gender e Digitalizzazione, sarà infatti l’elaborazione della pandemia di coronavirus. La misericordia sarà un aspetto fondamentale anche in questo!

Notizie e interviste

"La Chiesa è visibile soprattutto attraverso la diaconia"

Christine Fettig, concistoriale laica di Trieste

Christine Fettig è una sicurezza. Nella sua comunità, a Trieste, sanno che per qualsiasi cosa possono contare su di lei. Al Sinodo 2020 lei, sinodale di lunga data, è stata eletta membro laico del concistoro della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Uno dei suoi temi è la giustizia di genere.

La giustizia di genere è un argomento molto discusso, non solo nelle chiese. È un tema che le è particolarmente caro visto che se n’è occupata anche nell’ambito della commissione gender che ha avuto il compito di stendere un documento programmatico CELI che sarà messo ai voti proprio al Sinodo. È ottimista?

Christine Fettig: Purtroppo, questo tema è ancora visto come una questione “puramente” femminile, anche se riguarda tutta la società. Lo dimostra anche la scarsa partecipazione delle comunità all’elaborazione del documento. Tutte sono state chiamate a partecipare, ma solo in sette hanno mandato una risposta. La questione gender è poi di fondamentale importanza per i giovani. Certo, sarei felice se il nostro documento fosse votato dal Sinodo. Credo che per noi, come chiesa, sia importante prendere una posizione che si basi sui nostri valori segnalando al tempo stesso la nostra indipendenza e la capacità di sintonizzarci sui temi dell’attualità, anche quelli più scottanti. In più abbiamo con il segretario generale della FML, Martin Junge, un ospite d’onore molto sensibile a questa tematica.

Lei è in carica da pochi mesi. Qual è stata la sua esperienza finora?

Christine Fettig: In effetti è appena un mezzo anno. Mi fa pensare che tante cose nella vita si ripetano. Ho iniziato la scuola elementare nel 1966, un cosiddetto anno scolastico breve, da aprile a novembre. E altrettanto è stato anche il secondo anno scolastico, che è andato da dicembre a luglio. Alla fine, nel poco tempo a disposizione, ci è entrato comunque tutto. Tutti i contenuti del programma. Mi spiace che le riunioni del Concistoro finora si siano svolte solo in modalità online, manca sicuramente il contatto personale, ma abbiamo fatto del nostro meglio! D’altra parte, il formato digitale è anche un’opportunità. Ho potuto partecipare a molte riunioni, a incontri di commissioni, della rete delle donne, dei presidenti delle comunità, senza perdere tempo prezioso per i trasferimenti. E grazie a questa opportunità ho potuto comprendere molto dell’universo CELI in un tempo relativamente breve.

E ora anche il Sinodo è online…

Christine Fettig: Tutti avremmo voluto un Sinodo in presenza, ma dobbiamo essere realisti. E siamo fortunati che il nostro presidente sinodale Wolfgang Prader sia un esperto di informatica e che il decanato si stia occupando di questo problema in modo così competente. È una responsabilità enorme nonché un grandissimo impegno tecnico ed organizzativo. Ciò che mi fa piacere è che questo formato dà a tutti i membri delle comunità CELI sparse per tutta l’Italia e anche alle persone interessate, la possibilità di avere “un assaggio” di un sinodo. Spero vivamente che la gente sfrutti questa opportunità.

Pensa che la modalità digitale venga utile anche dopo la pandemia?

Christine Fettig: Per le riunioni di sicuro. È uno strumento che fa risparmiare tempo e costi. L’importante, secondo me, è alternare incontri personali e digitali. Devo ammettere che in questi pochi mesi dopo la mia elezione, ho notato che l’arco temporale di impegno è davvero significativo. Dopo tutto, oltre ai comitati della chiesa, ci sono tanti altri incontri, con la tavola valdese, e così via. Senza il formato digitale, probabilmente non sarebbe stato possibile gestire questo supplemento di impegni in aggiunta al mio lavoro.

Ha qualche idea concreta per il dopo-pandemia?

Christine Fettig: Spero solo che le cose continuino. Va constatato un notevole rallentamento delle attività, eppure di argomenti importanti ce ne sono parecchi: OPM, digitalizzazione, giustizia di genere, diaconia, giovani… Bisogna continuare ad andare avanti imperterriti. Spero davvero che l’esperienza Covid dia un impulso positivo. Che ci sia tanta voglia di ripartire.

Come vede la responsabilità della CELI nella società?

Christine Fettig: Credo che dovremmo lavorare in modo più visibile a livello nazionale, specialmente per quanto riguarda la diaconia. Se le comunità unissero le loro forze, si potrebbe ottenere di più. Alcune avrebbero le risorse per farlo ma non le persone, per altre vale il contrario. Credo che la visibilità di una chiesa dipenda principalmente dalle attività diaconali, quindi è importante andare oltre la dimensione locale.

Come membro del concistoro ha a disposizione tantissime informazioni su tutto ciò che riguarda la chiesa…

Christine Fettig: In ogni riunione del Concistoro si tratta di discutere decisioni riguardo alla CELI e riguardo alle 15 comunità. Preventivi, decisioni di natura finanziaria, questioni di personale, di disposizioni che riguardano il futuro. L’ordine del giorno è sempre ricco e deve essere ben preparato. E qui possiamo tutti contare su quel partner affidabile e molto ben organizzato che è il decanato. Sono sempre aggiornata e qualsiasi dubbio io abbia mi rispondono immediatamente. Il lavoro nel concistoro è faticoso ma anche molto motivante. Ogni comunità è un mondo a sé. Scoprirlo è molto motivante!

"Ci distinguiamo per la nostra libertà"

Cordelia Vitiello, rappresentante legale della CELI e consigliera della FML

È una donna dalle mille risorse e dai molteplici impegni: rappresentante legale della CELI, presidente dell’Ospedale Evangelico Betania di Napoli, consigliera della Federazione Luterana Mondiale e impegnata in diversi progetti diaconali della sua zona, Napoli e dintorni. Con una madre tedesca e un padre napoletano, Cordelia Vitiello rappresenta anche l’anima biculturale della CELI. Ed è stata lei, ancora all’inizio della pandemia, a vivere a pieno anche l’esperienza del Covid. Due lunghissime settimane di ricovero a Catanzaro.

… un Sinodo dunque ad appena sette mese dall’ultimo…

Cordelia Vitiello: Sì, l’anno scorso, nonostante il Covid, abbiamo potuto vivere la bella esperienza di un sinodo in presenza – rispettando tutte le misure di sicurezza. Adesso vivremo l’esperienza nuova di un sinodo online. Non abbiamo voluto rinunciare un’altra volta alla ritualità del sinodo in primavera. È significativo anche questo per la vita di chiesa. Sarà un esperimento e chissà, magari serviremo da modello anche per altri.

Il futuro della Chiesa è digitale?

Cordelia Vitiello: La modalità digitale è importante per il futuro, agevola molte dinamiche, apre tante porte, ci dà visibilità. Grazie alle modalità dell’online sperimentate a causa della pandemia, siamo diventati più visibili anche a tanti nuovi simpatizzanti; siamo stati una presenza viva anche per chi era lontano, per chi era ammalato. È stata un’occasione che abbiamo saputo sfruttare per stare vicino alla gente, un’esperienza che dovrà continuare. Poi però non bisogna mai dimenticare l’importanza dell’incontro fisico tra persone, della vicinanza umana che alimenta il nostro essere comunità.

È comunque un momento molto particolare, dopo 15 lunghi mesi di pandemia.

Cordelia Vitiello: È un momento storico particolare: un momento in cui è ancora più importante cercare e fare il bene negli spazi che abitiamo, come cittadini, come credenti. La nostra chiesa è ben radicata sul territorio tramite le attività diaconali. Covid o non Covid, ci sono sempre persone bisognose da sostenere.

La chiesa vissuta dunque attraverso la diaconia?

Cordelia Vitiello: Sicuramente ma non solo. È altrettanto importante la spiritualità e noi luterani dobbiamo continuare a tenere insieme la nostra storicità, aprendoci anche al nuovo. Dobbiamo essere capaci di parlare a tutti e tutte, anche e soprattutto ai giovani, nonostante i numeri siano oggi davvero esigui.

Al centro del Sinodo ci sono diversi temi di grande attualità: ambiente, giovani, l’attività diaconale, la giustizia di genere, per nominarne solo alcuni…

Cordelia Vitiello: Noi luterani ci distinguiamo per la nostra libertà. Io dico sempre che noi, come chiesa luterana, siamo per una politica buona al servizio della gente. Noi abbiamo a cuore i migranti, le persone emarginate, i bisognosi; noi benediciamo le coppie di fatto. Guardiamo in faccia la realtà, diamo aiuto e conforto e sappiamo rispondere alle esigenze di una società in continua trasformazione.

Ci sarà anche un gruppo di lavoro che si occupa del tema dell’elaborazione del Covid. Lei stessa ha vissuto la malattia. A suo parere, cosa si aspetta chi aderisce a questo gruppo?

Cordelia Vitiello: È stato un momento molto delicato per tutti noi. Ognuno l’ha vissuto e lo vive in modo diverso. Chi ha paura, chi non vede l’ora di lasciarsi tutto alle spalle e di non pensarci più, chi ha cambiato vita o vuole farlo, chi ha bisogno di scoprire insieme ad altri un senso in tutto quello che è accaduto e chi vuole capire come sarà il futuro. Io credo che l’importante sia dare un segnale di speranza e andare avanti, portare avanti la nostra missione e i nostri valori.

L’ospite d’onore è il pastore Martin Junge, Segretario Generale della Federazione Mondiale Luterana. Come vede lei, da consigliera della FML, la sua presenza e il fatto che abbia accettato l’invito?

Cordelia Vitiello: Lo trovo un gesto molto significativo e di vicinanza alla nostra chiesa nazionale, un segnale forte per noi, quale chiesa luterana in Italia. Ma anche un segno che per quanto siamo una realtà piccola, contiamo comunque ad avere orizzonti ampi e un filo diretto tra noi e la chiesa mondiale.

"Non esiste solo il Covid…"

Il presidente del sinodo Wolfgang Prader su chiesa e responsabilità sociale

Quattro anni da vice e da ottobre 2020 Presidente del Sinodo della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. Lui è Wolfgang Prader, e come il suo predecessore Georg Schedereit, è originario dell'Alto Adige e quindi bilingue fin dall'infanzia. Prader si aspetta importanti impulsi per il futuro dalla 2° Seduta del XXIII Sinodo. Il Covid secondo lui ha compresso troppo il campo visivo ed è ora di riprendere i temi che sono di assoluta importanza per il futuro, come l'ambiente o l'ingiustizia sociale.

È diverso pianificare un sinodo come vicepresidente che esserne pienamente responsabile come presidente?


Wolfgang Prader: Sì, altroché! Anche se lavoriamo insieme in modo estremamente costruttivo e siamo un’ottima squadra, alla fine, l’ultima decisione, spetta a me. E questo sì, fa la differenza!

È una persona che prende facilmente delle decisioni?


Wolfgang Prader: Mettiamola così: quando prendo una decisione, la mantengo. Ma non prendo mai decisioni avventate e sono certamente prima di tutto uno che lavora in squadra; soprattutto so ascoltare. Quello che non faccio mai è fissarmi su qualcosa, preferisco ponderare bene le cose prima di arrivare ad una conclusione.

Rispetto agli ultimi Sinodi, qual è stata la difficoltà maggiore nell’organizzare il suo primo Sinodo in veste di Presidente?


Wolfgang Prader: Abbiamo avuto soltanto un’opportunità di incontrarci di persona, alla prima riunione del concistoro subito dopo la nostra elezione, lo scorso ottobre. Dopo di che, tutti gli incontri si sono svolti in modalità digitale, telefono, e-mail, Zoom, Teams… pianificare un evento come un sinodo in questo modo è davvero faticoso e macchinoso. Una conversazione diretta lascia più spazio, è più spontanea, mette in moto altri fili di pensiero, lascia più spazio alla spontaneità, ci si ispira a vicenda. Le riunioni digitali sono straordinariamente efficienti per questo, ma manca la possibilità del dietro le quinte, che spesso porta qualcosa in più.


Lei stesso è un esperto informatico…


Wolfgang Prader: Sì, certo. E certamente continueremo a usare molti dei formati digitali che abbiamo già sperimentato e che si sono dimostrati efficaci. La pandemia ha semplificato e accelerato molte cose in questo senso. Sperando davvero che si tratti del primo e anche ultimo sinodo virtuale, non possiamo non renderci conto che, per quella che viene comunemente definita come eterogenesi dei fini, ci sono anche alcuni effetti “collaterali” positivi. Per esempio, il risparmio di tempo per coloro che possono partecipare da casa, oppure l’opportunità per tutti i membri della chiesa di accedere al sinodo indipendentemente dal luogo in cui si trovano. Chissà, per il futuro potremmo forse prendere in considerazione un modello ibrido, cioè un sinodo in presenza con parziale collegamento in diretta, per esempio.

Normalmente in questi primi sei mesi avrebbe dovuto viaggiare molto più, in quanto “ambasciatore” della CELI.


Wolfgang Prader: Questo è vero. E anche questo è un aspetto che ha pesato un po’ su questi primi sei mesi. Abbiamo avuto un incontro digitale con i valdesi. Abbiamo partecipato alla conferenza dei presidenti delle comunità CELI. A seconda dell’andamento della pandemia anche la prossima riunione della Conferenza delle Chiese Europee, CEC, in giugno, alla quale siamo invitati a partecipare, si terrà online. E non è ancora chiaro cosa succederà in estate e in autunno.

Da un sinodo ci si aspetta delle decisioni di lungo termine. Secondo lei, quali sfide necessitano in modo più urgente di risposta?


Wolfgang Prader: Al momento tutto, davvero tutto, è concentrato sul Covid. Direi troppo. Ci sono infatti tanti temi che hanno bisogno di risposte immediate. Anche di fronte ad una sfida globale come il Covid-19, dobbiamo prenderci tutto lo spazio che serve per poterci occupare di altre questioni, che non sono meno importanti per il futuro, se non addirittura più urgenti. Penso all’ambiente e allo sviluppo sostenibile, insomma tutte le tematiche affrontate dall’Agenda 2030. Questa è anche una delle grandi sfide del nostro tempo, che ci riguarda tutti e che richiede non solo degli interventi immediati e collettivi, ma anche a livello individuale ognuno di noi è chiamato ad un’assunzione diretta di responsabilità! C’è poi la questione della giustizia sociale. Il divario sociale a causa della pandemia sta aumentando a livello globale, ma anche nelle nostre società, nelle nostre città. E poi c’è la questione dell’accesso all’istruzione: anche qui, il Covid ha aggravato la situazione di molte famiglie, di molti bambini e giovani. Per non parlare della questione della salute e dell’accesso alle cure mediche. Tutti campi dove vedo una grande responsabilità individuale, ma anche delle chiese, di nostra chiesa.

Secondo Lei, il ruolo della Chiesa è cambiato in seguito alla pandemia?


Wolfgang Prader: Lo formulerei diversamente. Attraverso la pandemia siamo forse diventati più consapevoli del ruolo della Chiesa per quanto riguarda i nostri compiti nella pastorale e nella società. Quando l’aspetto della comunità viene meno e la chiesa è vissuta in modalità digitale, accadono due cose. Da un lato, ci si accorge che di colpo qualcosa è venuto a mancare, qualcosa che avevamo dato per scontato. D’altra parte, si capisce che la chiesa è anche un importante tassello a livello sociale e che, contrariamente a quello che pensavamo prima, può benissimo e anzi deve essere vissuta in diversi formati. Anche virtuali!

Cosa si aspetta Lei concretamente da questo sinodo?


Wolfgang Prader: Mi aspetto che dal dialogo dei sei gruppi di lavoro – uniti virtualmente in “stanze” più piccole – nascano decisioni che possano determinare il cammino della CELI nel futuro. Tutti i sei temi sono importanti e richiedono risposte concrete per il lavoro nelle comunità: Ambiente, Giustizia di Genere, Diaconia, Giovani, Elaborazione del periodo della pandemia e Digitalizzazione.

La questione della giustizia di genere non è senza controversie nell’ambiente protestante. Come è l’approccio della CELI?


Wolfgang Prader: Affrontiamo questa questione con grande serietà, ma sereni, in modo aperto e senza pregiudizi. Abbiamo chiamato tutte le Comunità a partecipare alla stesura del documento, coinvolgendo tutti. La commissione ha fatto un eccellente lavoro, che ha portato alla dichiarazione congiunta che mi aspetto venga votata.

L’ospitalità eucaristica è un argomento molto controverso, soprattutto in Germania. Non sarà tra i temi che il Sinodo affronterà?


Wolfgang Prader: Per noi non è un problema, o meglio non è vissuto come tema di conflitto, né per i teologi né per le Comunità. Ci atteniamo semplicemente all’accordo di Lund: da noi tutti i battezzati sono i benvenuti alla tavola del Signore.


Dove vede la necessità di intervento immediato?


Wolfgang Prader: Dobbiamo presentare meglio le nostre Comunità all’esterno, rendere note le loro attività anche tramite piattaforme digitali. Una maggiore visibilità è un prerequisito per poter crescere.

"La misericordia al centro di ogni agire"

Il decano della CELI Heiner Bludau: Seguire la chiamata di Gesù, anche se la strada non è sicura

Heiner Bludau da sette anni è decano della Chiesa Evangelica Luterana in Italia. La 2° Seduta del XXIII Sinodo segna l'inizio del suo ultimo anno come decano e anche della sua permanenza in Italia. Il titolo del Sinodo, "Continuità, cambiamento e futuro - La misericordia come responsabilità della Chiesa", ha per lui un profondo significato teologico: la misericordia come espressione di ogni azione cristiana, a partire dalla percezione - e conseguente accettazione - dell'altro.

Mancano pochi giorni al Sinodo, il primo Sinodo online nella storia della CELI. Come si sente?


Heiner Bludau: Devo ammettere che alla lunga è logorante questo stare sempre in ufficio, alla scrivania, con la maggior parte dei contatti limitati allo schermo o al telefono – e ora anche con il Sinodo in questa modalità. Inoltre, si tratta poi del mio penultimo sinodo. In realtà, dovrei andare in pensione già da febbraio 2022, ma spero, anche a titolo volontario, di poter rimanere in carica fino all’estate del 2022.

La 2° Seduta del XXIII Sinodo ha un titolo ambizioso: “Continuità, cambiamento, futuro: la misericordia come responsabilità della Chiesa”. Un titolo che punta dritto alla società, ma che al tempo stesso ha un forte significato teologico.


Heiner Bludau: Dopo 15 mesi di pandemia, penso che sia molto importante fare un bilancio. A che punto siamo? Dove stiamo andando? Forse anche: chi siamo (diventati)? In questa situazione estrema della vita umana, il rapporto con noi stessi, con gli altri è cambiato, a volte anche profondamente. Molte persone sono soggette ad una forte condizione di stress. Molti si ritrovano in una situazione di vita molto cambiata. Bisogna esserne consapevoli e saperlo percepire.

Ed è qui che entra in gioco la misericordia?


Heiner Bludau: Esattamente. La misericordia è molto di più di un semplice sostegno diaconale e finanziario per i bisognosi. Misericordia significa percepire il prossimo nel suo intero. Essere aperto a percepire tutte le altre persone come tali! Come chiesa siamo un’istituzione aperta alla società, ma ben radicata su un proprio centro. E questo centro è fondamentale come base di tutti gli impulsi che diamo. Ha un forte impatto su tutti gli ambiti, compresi, naturalmente, quelli che approfondiremo durante il Sinodo nei gruppi di lavoro: giustizia di genere, ambiente, diaconia, gestione della pandemia, giovani e digitalizzazione. La misericordia è un criterio importante ovunque.

A maggior ragione riguarda la questione della giustizia di genere e il documento della CELI che il sinodo è chiamato a discutere ed adottare…


Heiner Bludau: Questo è vero. Con la questione del genere è importante, ancor più che in altri campi, prestare attenzione alla vita di chiesa insieme, così come alla società. L’uguaglianza di tutte le persone è per noi una questione di fede. Io percepisco l’altro come è! Sono molto contento che prima del Sinodo questo tema sia stato portato nelle nostre Comunità e che tutti abbiano avuto l’opportunità di contribuire al documento.

E la misericordia in relazione all’ambiente?


Heiner Bludau: Qui la prospettiva cambia ancora. Chi vede Dio come Creatore ha un approccio diverso di chi considera l’evoluzione come frutto del caso. I nostri contributi nascono nel nostro centro di cui parlavo prima, dal senso di responsabilità per l’altro e per la creazione. Anche questo è misericordia.

Pensa che, nonostante il formato online del Sinodo, possa svilupparsi un vero dibattito e, soprattutto, che possa portare a validi risultati?

Heiner Bludau: Il confronto con l’altro è alla base delle nostre azioni. Qui vedo due effetti conseguenti alla pandemia. Da un lato, una grande difficoltà a mantenere vivo il dialogo, il confronto diretto tra le persone. D’altra parte, ci sono anche degli aspetti positivi. Per esempio, noi pastori CELI e anche i presidenti delle comunità ci siamo in un certo senso avvicinati tramite i frequenti incontri online, siamo più in contatto tra di noi che non prima. Questa è sicuramente una conseguenza positiva, e su questa strada continueremo. D’altro canto, temo che il formato digitale escluda troppo l’elemento personale. Siamo pur sempre una chiesa, non un’azienda. Un sinodo è sempre occasione per un dibattito molto aperto, per una discussione accesa e impegnata, anche per esprimere critiche… Spero molto che tutto questo sia possibile.

Con il segretario generale della FML Martin Junge, la CELI ha un ospite d’onore molto speciale…


Heiner Bludau: Questo invito e il suo entusiasmo nell’accettarlo sono frutto di una collaborazione a livello mondiale nata con le celebrazioni dei 500 anni della scomunica di Lutero. Ho trovato molto positivo il fatto che la FML ci abbia esplicitamente contattato come chiesa nazionale italiana riguardo alle celebrazioni in programma con il Vaticano. Anche la prossima riunione del Consiglio FML si sarebbe dovuta tenere a Roma, a causa del Covid alla fine però hanno optato per una soluzione online. Anche qui entra di nuovo in gioco la misericordia nel senso di una reciproca percezione. Immagino che il discorso di Junge ci sarà molto utile per il nostro riflettere su continuità, cambiamento e futuro.

Con il Sinodo inizia il suo ultimo anno. Non solo come decano, ma anche come pastore della sua Comunità a Torino e della sua permanenza in Italia. Inizia già a guardarsi indietro?


Heiner Bludau: Sì, sono stato decano per sette anni e in estate saranno undici anni che vivo in Italia e che sono arrivato nella piccola Comunità di Torino, all’epoca appena nata. Devo dire che questi undici anni sono stati più emozionanti di qualsiasi altra cosa io abbia mai vissuto nella mia vita professionale. Mi piace molto vivere in Italia e sono molto legato alla CELI. La Chiesa è stata sempre molto importante per me, ma emotivamente non mi sono mai sentito così coinvolto come è accaduto con questa piccola Chiesa della diaspora. Qui sono possibili cose che altrove funzionano diversamente. La collaborazione è più stretta, l’impegno personale più forte. Prima di arrivare alla CELI non avrei mai potuto immaginarmi in una posizione di responsabilità all’interno della chiesa. Ma naturalmente, spetta agli altri giudicare. Ho cercato di affrontare questa sfida con tutte le mie forze. Sono in pace con me stesso. Mi ha accompagnata la stessa immagine biblica che mi è servita da ispirazione quando sono stato eletto decano, un’immagine di cui vivo: Gesù cammina sulle acque e Pietro gli dice: Signore, chiamami e io ti seguirò… su un sentiero che a volte non è nemmeno percepibile, che sembrerà addirittura impercorribile, ma che emerge passo dopo passo guardando Gesù. E così anche chi sta per affondare non è perso…

Punti di svolta...

Il segretario generale della FML Martin Junge su Covid, Eucarestia, giovani, clima e giustizia di genere

Martin Junge, Segretario Generale della Federazione Mondiale Luterana è l’ospite d'onore della 2° Seduta del XXIII Sinodo della Chiesa Evangelica Luterana in Italia e parlerà venerdì 30 aprile alle ore 15 (con traduzione simultanea; lo streaming su youtube e fb in tedesco). In questa ampia intervista spiega quali sono per lui i capisaldi e le sfide della fede e di una Chiesa moderna che vive con la gente.

Da oltre 15 mesi il mondo intero si trova ostaggio della pandemia da coronavirus. Come fare i conti con questo momento difficile – per la società, per la politica e l’economia, per ognuno di noi individualmente e anche per le chiese – sarà uno dei temi affrontati al Sinodo della CELI. Come vede l’impatto della pandemia anche in relazione ai modelli di sviluppo economico e all’ingiustizia sociale e dove vede spazio per l’azione della chiesa?

Martin Junge: La pandemia ha colpito in ugual maniera tutti i settori della vita e tutte le strutture, comprese le chiese, che vivono riunendo le persone in modo che possano crescere nella fede e darne testimonianza. La comunione che la chiesa crea tra le persone ora si è spostata online. Questo ha implicazioni a lungo termine di cui non possiamo ancora comprendere appieno la portata.
Ho un profondo rispetto per il modo in cui le chiese di tutto il mondo hanno risposto a questa situazione. Hanno trovato e attuato modi creativi e teologicamente responsabili di agire per non sciogliersi nell’irrilevanza. Sono particolarmente grato per il modo in cui le chiese luterane hanno rispettato le disposizioni governative per combattere la pandemia. Noi chiese non dovremmo essere conosciute per diffondere il virus, ma solo per diffondere la buona novella del Salvatore.
In una dichiarazione ecumenica, la pandemia è stata chiamata “il grande rivelatore” (the great revealer). E effettivamente ha rivelato cose che sono molto problematiche. Il legame causale tra la pandemia e lo stile di vita e il degrado ambientale, per esempio, più e più volte menzionato dagli scienziati. La pandemia non solo ha portato alla luce, e in alcuni casi anche esacerbato, la spaventosa disuguaglianza nel mondo. All’inizio di marzo, il 76% delle vaccinazioni contro il COVID-19 era stato somministrato solo in dieci Paesi! Eppure non c’è dubbio che finché non saranno protetti tutti, nessuno sarà davvero protetto! Viviamo in un solo mondo. Credersi su un’isola covidfree e praticare l’isolazionismo evoca un‘illusione di sicurezza sbagliata e fuorviante. Gli sforzi dei singoli Stati da soli non possono avere che un successo limitato. Solo degli approcci a livello globale potranno aiutare a risolvere dei problemi che sono globali. Questo vale sia per la pandemia, che per il cambiamento climatico.
La pandemia ha poi rivelato un concetto sbagliato di libertà, insistendo sul concetto di libertà individuale che entra in rotta di collisione con l’idea di comunità e di bene comune. Sono convinto che qui si apra un campo fertile per la Chiesa, e in particolare per le chiese luterane. Perché chi predica la giustificazione per sola fede predica anche la libertà. Una libertà che non è incentrata sull’io individuale, ma sul prossimo.

Il Covid-19 gioca anche un ruolo nel contesto di un’altra importante questione: l’uguaglianza delle donne e, più in generale, la giustizia di genere. Le donne sono state particolarmente colpite dall’impatto negativo della pandemia: Un documento programmatico sulla giustizia di genere sarà messo al voto proprio al Sinodo CELI 2021. Qual è il significato di questo tema per la FML e per lei personalmente?

Martin Junge: È vero. Le donne sono state colpite in modo sproporzionato dalla pandemia. Trovo particolarmente grave il forte aumento della violenza domestica. In Perù, per esempio, il numero di segnalazioni è aumentato del 43%, in Argentina del 39%. Sono cifre spaventose e bisogna essere grato che esistano statistiche che provano un fatto che molti ancora negano o vogliono minimizzare.
Mi ha fatto piacere sentire che la CELI presenterà un documento programmatico sulla giustizia di genere. A livello globale, questo è successo nella FML nel 2013. Un cammino iniziato nel Dopoguerra. Nel 1984, nella sua Assemblea di Budapest, la FML ha adottato una base teologica in base alla quale sia gli uomini che le donne hanno accesso al ministero ordinato. Solo due settimane fa, la prima vescova donna è stata eletta in una chiesa luterana in Africa, notizia che abbiamo ricevuto con grande gioia. Del 2002, è invece il documento FML “Le Chiese dicono NO alla violenza contro le donne”. Da lì è stato solo un passo verso una dichiarazione programmatica: chi combatte la violenza contro le donne deve porsi anche la questione del riequilibrio dei ruoli e della ripartizione del potere.
La strada è ancora lunga. Da un punto di vista globale, stiamo purtroppo assistendo al fatto che le conquiste in materia di uguaglianza tra uomini e donne sono sottoposte a una forte pressione. Si sta diffondendo un revisionismo, anche in ambito ecclesiastico, dove la giustizia di genere viene sommariamente bollata e screditata come “ideologia”. Per me invece la discussione sulla giustizia di genere è estremamente importante, si tratta di una preoccupazione profondamente protestante, biblicamente fondata e teologicamente sostenuta: siamo chiamati in Cristo ad una nuova comunità in cui non saranno accettate differenze di origine o di genere.

In un’intervista ha dichiarato: “Per noi un’etica della responsabilità nei confronti del creato è una questione di fede”. La giustizia climatica è dunque una questione di fede? Lei guarda con fiducia al futuro?

Martin Junge: La situazione è grave. Un scalatore che scivola sa che può riuscire a fermarsi solo nei primi metri. Una volta in volo, non c’è più alcun modo di salvarsi. La scienza dimostra chiaramente che siamo arrivati a questo punto di svolta.
L’accordo sul clima di Parigi è stato un risultato politico davvero importante, come anche un fortissimo messaggio di volontà della comunità internazionale nel tentare di evitare il peggio. Purtroppo, però, le cose si sono arenate, anche a causa di una crescente indifferenza da parte di molti Stati nell’attuare effettivamente gli impegni sottoscritti.
Queste circostanze, tuttavia, non mi fanno perdere la speranza. Semmai, mi spronano a lavorare insieme ad altri attori (società civile, governi, scienza, ambiente ecumenico e interreligioso) per arrivare ad un cambio di rotta al fine di prevenire un ulteriore riscaldamento del clima e un’ulteriore perdita di biodiversità.
Nel 2015, la Federazione Mondiale Luterana ha deciso di escludere i combustibili fossili dalle sue attività finanziarie. Continuo ad incoraggiare le nostre chiese a fare altrettanto!
Questa decisione è stata preparata e promossa dal gruppo giovani della FML. I giovani (per noi persone tra i 18-30 anni) sono ben collegati a livello globale e lavorano spalla a spalla. Sono stati determinanti nel guidare l’impegno della FML sulle questioni di giustizia climatica. Di conseguenza, nella FML la questione della giustizia climatica è diventata sempre più una questione di giustizia intergenerazionale. Che cosa stiamo effettivamente lasciando ai nostri figli e nipoti? È responsabile? È giusto?
Non ci sono più dubbi sul da fare. Occorre un cambiamento dello stile di vita a livello individuale e nell’amministrare i beni. Anche qui nutro delle speranze, anche perché vedo delle grandi possibilità di impegno per le chiese. In fin dei conti si tratta della domanda su cosa davvero conti nella vita, con che contenuti riempirla. L’approccio di riempire il vuoto di senso e colmare le paure esistenziali consumando sempre di più, è fallito. Non può più essere sostenuto. Dobbiamo quindi chiederci come portare le persone a riflettere a tutti di riorientarsi. Come offrire una sicurezza profondamente radicata nella fede che trasmetta alle persone serenità e pace?
Certo, non sarà un summit calato dall’alto a iniziare questo tipo di cambiamento. E semmai lo facesse, è solo perché la spinta dal basso ha già posto le premesse perché le cose vadano in una certa direzione. I politici, dopo tutto, devono sempre tenere bene a mente i loro elettori. Le chiese e le comunità di fede agiscono invece su un altro livello, più profondo, ed è lì che si apre un enorme campo di attività, un potenziale per contrastare il cambiamento climatico.

Cosa pensa che la chiesa debba fare oggi per attrarre i giovani?

Martin Junge: Deve coinvolgerli. Non vogliono programmi preconfezionati, soprattutto senza essere stati coinvolti. Chiedono di essere partecipi a tutti i livelli. La chiesa deve prendere in considerazione le loro preoccupazioni e sogni, i loro stili di vita, le loro speranze e paure per il futuro.
Allo stesso tempo, la chiesa non deve scaricare su di loro le proprie preoccupazioni per il futuro, quasi fossero dei portatori di salvezza e potessero da soli frenare la perdita di centralità della religione e l’emorragia di credenti. È un’aspettativa del tutto fuori luogo.
Nel 1984, la FML ha introdotto un sistema di quote, secondo il quale nei nostri organismi dovrebbero risiedere almeno il 40% di donne, 40% di uomini e un 20% di giovani adulti (18-30 anni) anche loro nel rispetto della parità di genere. Nell’ultima Assemblea del 2017, la delegazione giovanile era composta a metà da uomini e donne. Finalmente! Fino a quel momento, a partecipare ai nostri eventi erano soprattutto donne giovani e uomini anziani. Significa che fino a quel punto il sistema delle quote non aveva compensato lo squilibrio, ma lo aveva rafforzato!
In sostanza però, il sistema delle quote aiuta. Senza il sistema delle quote non saremmo arrivati dove siamo oggi. Grazie alle quote abbiamo potuto occuparci di tematiche che ci hanno dato ampia rilevanza. Senza la forte partecipazione femminile, garantita dalle quote, non avremmo dato una tale priorità al tema della giustizia di genere (anche se non è una questione puramente femminile, e dev’essere portata avanti in modo congiunto).
Eppure un sistema di quote non è la risoluzione, il rispetto formale dalle quote non assicura una partecipazione effettiva. Stiamo lavorando invece per aiutare le chiese che desiderano una maggiore partecipazione dei giovani. Bisogna programmarla, lavorarci, rendersi conto che non è un automatismo. Altrimenti da entrambe le parti si rischia una profonda frustrazione, che si trascinerà per anni.
Tornando ai giovani: si sente spesso parlare in modo dispregiativo della “generazione smartphone”, cioè dei giovani che non hanno altro in testa che lo schermo. Mi viene sempre da chiedere: chi ha messo loro in mano gli smartphone, e già in tenera età? I giovani sono come sono anche grazie agli input ricevuti da noi sul loro cammino.
Tuttavia: io li percepisco come interessati e impegnati. Mettono in moto qualcosa! Basta guardare il movimento globale per la giustizia climatica. Attraverso i loro smartphone e i loro schermi, si sono informati, hanno fatto rete e si sono mobilitati. È così che si fa oggi.

In vista del “Kirchentag Ecumenico” virtuale di Francoforte del prossimo maggio, si è evidenziato un conflitto, tuttora irrisolto, tra le chiese protestanti membri dell’EKD e la chiesa cattolica (e anche all’interno di essa attorno al tema dell’ospitalità eucaristica. Che peso ha per lei questa questione?

Martin Junge: Alla Commemorazione congiunta della Riforma a Lund, in Svezia (2016), Papa Francesco e l’allora presidente della FML, il vescovo Munib Younan, hanno firmato una dichiarazione che includeva il seguente passaggio:
“Molti membri delle nostre comunità desiderano ricevere l’Eucaristia insieme come espressione concreta della piena unità. Siamo testimoni del dolore di tutti coloro che condividono la loro vita ma non possono condividere la presenza salvifica di Dio nell’eucaristia. Riconosciamo la nostra responsabilità pastorale condivisa di soddisfare la fame e la sete spirituale dei nostri fedeli di essere uno in Cristo. Desideriamo che questa ferita nel corpo di Cristo sia guarita. Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici. Desideriamo portarli avanti, anche rinnovando il nostro impegno nel dialogo teologico”.
Queste parole spiegano perfettamente perché lo stato attuale delle cose sia teologicamente e pastoralmente insostenibile e perché sia urgente gettare le basi affinché tutti i battezzati possano riunirsi intorno alla tavola del Signore. Molto più che una preoccupazione personale, quindi, è la preoccupazione di dare forma all’opera riconciliatrice e unificante di Dio in Cristo anche nella vita della Chiesa, perché diventi allo stesso tempo un potente messaggio da lanciare al nostro mondo, così lacerato e impantanato nei conflitti. Riguarda, insomma, la Chiesa e la sua testimonianza nel mondo.
La dichiarazione di Lund è una forte base nonché un impegno tra la Chiesa cattolica e la Federazione Mondiale Luterana. Ci aiuta a non perdere di vista l’obiettivo, anche nella discussione talvolta molto controversa, di questioni teologiche. Trovarsi uniti alla tavola del Signore dev’essere teologicamente giustificata e teologicamente sostenibile per le chiese partecipanti.
Ci vorranno speranza, coraggio e acume teologico per poter giungere all’unità che Dio ha già stabilito per noi. Non ho nessun dubbio che questo accadrà: Dio si fa sempre strada nella chiesa e nel mondo!

Come vede la Chiesa Evangelica Luterana in Italia?

Martin Junge: Con grande simpatia! Forse perché mi ricorda tanto la mia chiesa in Cile: una piccola chiesa, in una situazione di minoranza, in un contesto cattolico romano. Impegnata nelle attività diaconali, ecumenicamente attiva, bilingue….
Le chiese minoritarie in Europa sono precorritrici di una realtà con cui anche le cosiddette chiese popolari dovranno fare i conti in futuro. Il processo di secolarizzazione avanza rapidamente. Le chiese non devono più aspettare che le famiglie portino i loro figli al battesimo, ma devono prendere l’iniziativa ed invitarli, spiegare loro l’importanza del battesimo. Le chiese non potranno più dare per scontato che i contenuti fondamentali della fede cristiana e i suoi fondamenti biblici siano a portata di tutti, ma dovranno avere la pazienza di divulgarli. Le chiese dovranno spiegare chi sono e perché ci sono – succederà anche a voi in Italia come a noi in Cile presumo: Luterano? Ah, sì, capisco… (non di rado seguito da un silenzio imbarazzante). Chi, cosa, come e perché? Dobbiamo essere preparati a rispondere. E secondo me è giusto che sia così.
Vorrei che le chiese nella diaspora invece di sprofondare in complessi di inferiorità, si rendessero conto e praticassero coscientemente quello che apportano alla chiesa nel suo insieme. Per quanto riguarda la CELI: Avete delle conoscenze e delle abilità che in futuro serviranno ad altre chiese. Anche come FML dobbiamo cambiare i modo di apprendimento. Non è che chi è grande sa tutto e chi è piccolo non sa niente. Non funziona così
Il mio lavoro come Segretario Generale della FML è stato molto influenzato da una missiva del 1975 del primo presidente africano della Federazione, il vescovo tanzaniano Josiah Kibira:
“Sono convinto che non c’è chiesa così grande, così potente e così affermata che non possa imparare dagli altri; né che ci siano chiese così piccole, così precarie e così nuove che non abbiano niente da offrire”.
Questo è l’ethos che muove e alimenta la FML, questo è il modo in cui le nostre chiese sorelle vorrebbero incontrarsi. Certo, stiamo ancora imparando. Il principio dovrebbe essere: non è il numero di aderenti che rende forte una chiesa, ma la sua collocazione nel Vangelo di Gesù Cristo e la testimonianza che può offrire alle persone. In questo senso il mio incoraggiamento alla CELI, piccola solo di numeri, è: non lasciatevi mai mettere in un angolo!